I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

L’aggiornamento delle tariffe Cup per il 2025

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di Alessandro Merciari (*) - Rubrica a cura di Anutel

A distanza di quattro anni dall’introduzione del canone unico patrimoniale (Cup), molti enti locali stanno valutando l’ipotesi di aumentare le tariffe dedicate alle occupazioni di suolo pubblico e alle iniziative pubblicitarie. Non tanto mossi dall’esigenza di rivedere gli importi dedicati ad alcune fattispecie particolari, piuttosto per ipotizzare un aumento generalizzato da operare sulla tariffa base e di conseguenza a cascata su tutto l’impianto tariffario costruito nell’ormai lontano 2021 con applicazione di coefficienti moltiplicatori o variazioni percentuali.

Ma questa forma generalizzata di aumento, magari parametrata alla variazione Istat maturata nel corso dei primi anni di applicazione del canone, è davvero legittima? Possono gli enti territoriali variare il gettito atteso dell’entrata? Una domanda di stretta attualità che molti amministratori si stanno ponendo in questo periodo dedicato alla preparazione dei bilanci di previsione 2025.

La questione trae origine dalla norma istitutiva del Cup in cui si prevedeva espressamente al comma 817 che: “Il canone è disciplinato dagli enti in modo da assicurare un gettito pari a quello conseguito dai canoni e dai tributi che sono sostituiti dal canone, fatta salva, in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe.”

La lettura della norma è stata caratterizzata da interpretazioni diverse che oggi portano alcuni funzionari a ritenere immodificabile (per sempre?) il gettito dell’entrata dedicata alle occupazioni e alle iniziative pubblicitarie, mentre altri sono convinti che gli effetti della disposizione di legge vincolasse le Pubbliche Amministrazioni solo per il primo anno di applicazione.

Quale delle due interpretazioni sia corretta non è dato a sapere con assoluta certezza. Le motivazioni di entrambe le tesi sono coerenti, tuttavia, a parere di chi scrive, dovrebbe prevalere la linea di chi vuole garantire l’autonomia degli enti locali nel prevedere un legittimo adeguamento della tariffa a distanza di 4 anni dalla sua introduzione.

Quando il Legislatore ha previsto “…in ogni caso, la possibilità di variare il gettito attraverso la modifica delle tariffe…” ha voluto innanzi tutto salvaguardare quell’autonomia in materia di proprie entrate, riconosciuta dall’articolo 52 del Dlgs 446/97 a garanzia dei Comuni, Province e Città Metropolitane che legittimamente devono perseguire i propri obiettivi di autonomia finanziaria di entrata riconosciuti all’articolo 119 della Costituzione.

Questa formulazione del comma, che a prima vista sembrava una contraddizione espressa all’interno della stessa frase, in realtà doveva essere letta fin da principio proprio come la volontà di definire una disciplina che, da una parte, fosse coerente con i precedenti prelievi, e dall’altra garantisse ai soggetti attivi della nuova entrata patrimoniale, quell’autonomia e potestà regolamentare in materia di proprie entrate.

L’obiettivo dichiarato del Legislatore era infatti quello di riunificare le entrate senza stravolgerle, lasciando comunque quell’autonomia agli enti territoriali nel regolarla in base alle proprie caratteristiche e alla propria storia.

Peraltro, se ci pensiamo, il gettito del Cup è molto dinamico e può subire annualmente variazioni derivanti dall’allargamento, o contrazione, della base imponibile. Pensiamo ad esempio a quanto successo con il 110, con un aumento dei cantieri edili collocati su area pubblica, oppure consideriamo il fenomeno esploso a seguito della pandemia da Covid-19, con la diffusione nei centri storici dei dehors di locali per la ristorazione. Chiaro che la parità di gettito è un concetto molto relativo la cui soglia dovrebbe comunque sempre variare al mutare della base imponibile.

Per molti oggi, non avrebbe più senso inseguire la parità di gettito richiesta in sede di prima applicazione, quello che risulta davvero importante è che gli eventuali aumenti di tariffe che si vorranno apportare dal 2025, siano accompagnati da giuste motivazioni, nel rispetto dei principi generali di salvaguardia degli equilibri finanziari e dei principi di equità e proporzionalità, con motivazioni che vedano rispettati i principi di “beneficio economico” e di “sacrificio imposto alla collettività”.

Gli enti in questo senso sono chiamati a determinare le tariffe con criteri di ragionevolezza e gradualità tenendo conto della popolazione residente, della rilevanza dei flussi turistici presenti nel Comune e delle caratteristiche urbanistiche delle diverse zone del territorio comunale, nonché della ritraibilità economica e dell’impatto ambientale delle occupazioni e delle esposizioni pubblicitarie oggetto del prelievo. Elementi che possono variare nel corso degli anni nelle realtà territoriali più dinamiche.

Ecco quindi che il potere discrezionale e l’autonomia impositiva degli enti locali devono essere subordinati al rispetto dei diversi principi pocanzi richiamati e risultare satisfattive dell’interesse pubblico e non ingiustificatamente gravose per i contribuenti. Questi sono i veri vincoli da rispettare nella costruzione del nuovo impianto tariffario di un’entrata così movimentata e sensibile alle congiunture socio-economiche.

Che senso avrebbe allora in ottica del gettito 2025, rincorrere ancora la stessa parità aritmetica di gettito richiesta in sede di prima applicazione?

Eppure recente giurisprudenza si è espressa nella direzione che vuole considerare comunque indisponibile la modifica del gettito. Ci riferiamo alla posizione recentemente assunta dal Consiglio di Stato, secondo il quale le modifiche tariffarie, pure ammesse, non devono incrementare il totale del gettito dei tributi e canoni soppressi.

Nella sentenza della sezione settima del Consiglio di Stato n. 5632 del 26/6/2024 è stata presa in esame la legittimità per un ente territoriale (il Comune di Brescia) di prevedere nel proprio Regolamento, una differenziazione del canone unico in relazione alla tipologia e alla ubicazione di un impianto pubblicitario, oltre che alla sua superficie, seguendo quindi un’impostazione che vede incidere sulla tariffa applicata diversi elementi legati alla visibilità del messaggio diffuso.

L’appellante (una ditta pubblicitaria) ha ritenuto che il canone unico introdotto con la Legge 160/2019, presenti i tratti che, alla luce della giurisprudenza costituzionale, consentono di qualificarlo come tributo o, comunque, come prestazione patrimoniale imposta ai sensi dell’articolo 23 della Costituzione.

Partendo da questo presupposto, l’azienda ricorrente ha sostenuto che la normativa di riferimento difetterebbe di criteri idonei a vincolare a parametri determinati il potere amministrativo discrezionale degli enti impositori, tanto nella regolamentazione del prelievo fiscale, quanto nella relativa determinazione delle tariffe.

Il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 5632/2024, ha osservato come le considerazioni dell’appellante si inseriscono nell’ampio dibattito circa la qualificabilità del “canone unico” (legge 160/2019) come “tributo” ovvero come “entrata patrimoniale”.

Nella sentenza si legge: «In particolare, il limite dell’invarianza finanziaria deve essere rapportato all’intero cumulo dei canoni e/o tributi sostituiti dal Cup e anche all’intero gettito rappresentato da tutte le esposizioni pubblicitarie effettuate nel Comune, sia su suolo pubblico, che su suolo privato, con mezzi di proprietà dell’amministrazione ovvero con mezzi pubblicitari di proprietà delle singole società.».

La sentenza prosegue : «7.9.5. Il legislatore ha, quindi, delimitato il potere dei Comuni nel senso di ritenere l’invarianza in aumento del gettito quale limite alle determinazioni comunali, sicché l’ente ha il potere di disciplinare le tariffe del Cup senza, tuttavia, poter superare la soglia predefinita del gettito. 7.9.6. Così interpretata la disciplina sono, quindi, infondati i sospetti di incostituzionalità della norma, per violazione dell’articolo 23 della Costituzione, sollevati da parte appellante, avendo il legislatore delimitato il potere di determinazione in aumento del canone da parte dei Comuni: infatti, in forza del criterio dell’invarianza, posto dal comma 817, è fissato dal legislatore nazionale un tetto massimo, che la discrezionalità degli Enti non può superare, escludendosi perciò una violazione dell’articolo 23 della Costituzione. Infatti, il legislatore statale ha attribuito agli Enti territoriali il potere di disciplinare il canone unico patrimoniale in modo da garantire l’invarianza di gettito anche eventualmente attraverso la modifica delle tariffe, così operando un bilanciamento tra la necessità di predeterminazione statuale della tariffa base, al fine di garantire il rispetto della riserva di legge prevista dall’’articolo 23 della Costituzione, e l’esigenza di tutelare l’autonomia finanziaria dei singoli enti territoriali riconosciuta dagli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.»

Una posizione chiara, nel ritenere legittimo l’operato del Comune di Brescia, ma nel contempo dando una interpretazione della norma che porta a valutare come vincolante la parità di gettito rispetto ai prelievi sostituiti dal canone unico.

A questo proposito, è fondamentale precisare che la sentenza è riferita a un contenzioso incardinato sull’annualità Cup 2021.

Per questa annualità, la prima dalla trasformazione dei prelievi, è assolutamente condivisibile la linea tenuta dal Consiglio di Stato nel momento in cui valuta come necessario il bilanciamento tra la necessità di predeterminazione statuale della tariffa base e l’esigenza di tutelare l’autonomia finanziaria dei singoli enti territoriali.

Tuttavia, la portata della disposizione contenuta nel comma 817 oggi, a parere di chi scrive, dovrebbe essere legata solo al criterio di trasformazione dai precedenti prelievi e letta nell’ottica di mantenere quel solco tracciato nel 2021, aggiornato con tutte le deviazioni possibili dettate dagli eventi e dalla disciplina regolamentare. Dopodiché, le scelte degli enti territoriali sono e saranno sempre condizionate dalle peculiarità del proprio territorio, dell’andamento economico, dall’aumento del costo della vita e dalle politiche adottate dalla pubblica amministrazione che perseguirà gli interessi della propria collettività e la tutela del proprio territorio, anche con manovre tariffarie che incideranno sul gettito Cup.

Del resto è lo stesso Legislatore, in ambito di canone unico, che ha disposto per legge l’adeguamento di due speciali tariffe disciplinate nei commi 831 e 831-bis. Se per queste particolari fattispecie, legate alle occupazioni permanenti realizzate dalle aziende che erogano i pubblici servizi, è stato disposto un adeguamento annuale automatico all’indice Istat dei prezzi al consumo rilevati al 31 dicembre dell’anno precedente, allora è altrettanto ipotizzabile una manovra da parte dell’ente locale che, magari solo con intervalli pluriennali, possa adottare lo stesso tipo di adeguamento.

Per il futuro sarà interessante capire l’orientamento che assumeranno gli organi di giustizia in merito alle stesse problematiche legate alle annualità successive alla prima. Difficile oggi ipotizzare, a distanza di 4 anni dall’introduzione dell’entrata, che il Tar o lo stesso Consiglio di Stato possano ancora ritenere valido il vincolo imposto dal comma 817, a fronte di adeguamenti tariffari adottati dall’ente locale, motivati in ragione dei mutamenti del contesto territoriale ed economico in cui sono chiamati a gestire le proprie entrate nel rispetto degli equilibri di bilancio e forti di quell’autonomia finanziaria riconosciuta e sancita dall’articolo 119 della Costituzione.

(*) Docente Anutel

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