Fisco e contabilità

L’autosmaltimento dei rifiuti non esclude la Tari

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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

La dimostrazione dell'avvio al recupero autonomo dei rifiuti assimilati da parte dell'impresa produttrice non la esime totalmente dal pagamento della tariffa sui rifiuti. Questo è in estrema sintesi il principio ribadito dalla sentenza della Corte di cassazione 10 ottobre 2018 n. 26198. Il principio che conferma la costante posizione della Corte sull’irrilevanza dell'autosmaltimento ai fini del prelievo fiscale.

La sentenza
La Corte di cassazione ha esaminato il caso di una ditta che pretendeva di essere esonerata dal pagamento della Tia (in base all’articolo 49 del Dlgs 22/1997), in quanto la stessa aveva provveduto in proprio allo smaltimento dei rifiuti assimilati prodotti, in forma differenziata, senza avvalersi del servizio comunale.
La corte ha evidenziato che la ditta non aveva comprovato l'effettivo smaltimento dei rifiuti prodotti e che comunque in ogni caso dalla prova (a carico della società) «dell'effettivo espletamento della raccolta dei rifiuti attraverso ditte specializzate non discendeva la completa esenzione dalla tariffa della società contribuente, quanto la sua ammissione al regime agevolato, costituito da un coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati e il produttore dimostri di aver avviato al recupero (articolo 49, comma 14), secondo quanto stabilito dalla amministrazione comunale”.
La Corte, infatti, ha correttamente osservato che la «sussistenza di una quota residuale di servizi generali erogati alla collettività dall'amministrazione comunale nella gestione dei rifiuti urbani, è tale da giustificare il pagamento della tariffa, sebbene in misura ridotta». In regime di Tia (ma anche oggi nella Tari), infatti, il totale smaltimento dei rifiuti assimilati prodotti da parte delle imprese non attribuiva il diritto all'esenzione dal prelievo, ma solo a una riduzione proporzionale del tributo (articolo 49, comma 14, Dlgs 22/1997).

Irrilevanza dell'autosmaltimento
Il principio è stato più volte ribadito dalla Corte di cassazione in regime di tassa sui rifiuti. In presenza dell'erogazione del servizio, la scelta del contribuente di non avvalersene non dà diritto al mancato pagamento del tributo. La sentenza n. 11451/2018 evidenzia che «la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l'utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, in quanto la ragione istitutiva del relativo prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti (anche Cassazione n. 21508/2005)».
La decisione del contribuente di provvedere all'autosmaltimento dei rifiuti non incide sulla debenza del tributo (sentenza n. 1501/2016).

Smaltimento e recupero
Tuttavia, la destinazione allo smaltimento non va confusa con l'avvio al recupero. Il primo consiste in una qualsiasi operazione finalizzata a sottrarre definitivamente una sostanza, un materiale o un oggetto dal circuito economico e/o di raccolta, mentre il recupero è caratterizzato da operazioni che utilizzano i rifiuti per generare materie prime secondarie, combustibili o prodotti.
L'impresa che decida di avviare al recupero in modo autonomo i propri rifiuti assimilati, facoltà ammessa dalla legge, non ha diritto alla riduzione della superficie tassabile, ma solo a una riduzione del tributo. Quest'ultima doveva essere quantificata dal regolamento comunale in regime di Tarsu (articolo 67 del Dlgs 507/1993), mentre era prevista dalla legge Tia in regime di TIA1 (articolo 49, comma 14, del Dlgs 22/1997), sia in regime di Tares (articolo 14 del Dl 201/2011). E anche oggi nella Tari (articolo 1, comma 649, legge 147/2013).
Nell'attuale tributo, tuttavia, la riduzione compete non per il generico avvio al recupero dei rifiuti assimilati a cura del produttore, ma solo in caso di riciclo del rifiuto. La riduzione, commisurata alla quota variabile, dev’essere disciplinata dal regolamento comunale e attribuita in misura proporzionale alla quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo direttamente o tramite soggetti autorizzati. In proposito va rammentato che la sentenza del Consiglio di Stato n. 585/2018 ha ritenuto che la riduzione può raggiungere anche la totalità della quota variabile. Seppure in passato si erano al riguardo registrate delle posizioni contrarie (Tar Veneto, sentenza n. 903/2013).

Riduzione e tariffa corrispettiva
Ci si può interrogare se la riduzione per l'avvio al riciclo dei rifiuti assimilati in forma autonoma possa continuare a esistere anche nel caso di adozione della tariffa corrispettiva, prevista dall'articolo 1, comma 668, legge 147/2013.
In un modello di tariffa nella quale la quota variabile è commisurata alla quantità di rifiuti effettivamente conferita al servizio, non sembra esserci spazio per riduzioni legate ai rifiuti avviati in forma autonoma al riciclo. In ogni caso, l'articolo 9 del Dm 20 aprile 2017 stabilisce che le frazioni avviate al riciclaggio devono dare origine a criteri di correttivi dei costi, purchè conferite al servizio pubblico, individuando l'utenza per la quale è svolto il servizio ovvero misurando il numero di conferimenti di rifiuti avviati al riciclaggio consegnati ai centri comunali di raccolta.

(*) Vice presidente e docente Anutel

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