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L’industria del marmo è a secco : «Cave di Carrara a singhiozzo»

Caos di 100 ricorsi al Tar contro le ordinanze del del Comune di Carrara

di Silvia Pieraccini

Per il distretto del marmo di Carrara, che estrae e lavora il pregiato ‘bianco' usato per arredamenti e rivestimenti, è cominciata un’altra stagione delicata. Innanzitutto perché, sia sul versante apuano che su quello versiliese, alcune cave sono state chiuse: quattro hanno sospeso l’attività a Carrara, su provvedimento del Comune, per mancato pagamento del canone di concessione e del contributo di escavazione e per un’ingarbugliata questione legata ai fossi demaniali e al reticolo idraulico; altre due cave sono state sequestrate dalla Procura di Lucca a Vagli, in Garfagnana, in due inchieste che ipotizzano smaltimento illegale dei residui e appalti pilotati.

A questo si aggiunge il fatto che la grande produzione normativa fatta da Regione Toscana e Comune di Carrara negli ultimi cinque anni – il Piano paesaggistico, la legge toscana 35/2015, il piano regionale cave, i piani comunali dei bacini estrattivi, il nuovo regolamento sugli agri-marmiferi e il sistema di tracciabilità dei blocchi estratti – ha introdotto vincoli e modalità di tassazione che hanno messo in difficoltà molte aziende lapidee, scatenando un corposo contenzioso legale.

Il Comune di Carrara (60mila abitanti e 80 cave distribuite in tre bacini marmiferi) in questo momento deve far fronte a più di 100 ricorsi al Tar presentati da aziende del distretto, tanto che ha appena pubblicato un bando da 96mila euro per selezionare gli avvocati difensori.

Il risultato è una tensione continua che dal fronte istituzionale (e ambientalista) ora si sta riversando anche sul mercato, dove si cominciano a segnalare difficoltà di approvvigionamento: «Con la chiusura della cava di Vagli ci è venuto a mancare il ‘Calacatta oro'», spiega Alessandro Tagliabue, titolare della Vallmar di Meda, in Brianza, che produce duemila tavoli di marmo al mese per i grandi marchi dell’arredo-design utilizzando il prezioso ‘bianco' caratterizzato da venature dorate. «Abbiamo dovuto acquistare il marmo nei magazzini – aggiunge Tagliabue – con prezzi aumentati del 20-30%. In un momento in cui materie prime come acciaio e legno scarseggiano, la carenza di marmo aggiunge un ulteriore problema. Perché la Regione non interviene?»

A Carrara imprese e Comune, per adesso, giurano che la chiusura delle cave non ha avuto effetti sul mercato, mostrando i dati: nei primi quattro mesi del 2021 la produzione di blocchi di marmo è stata di 270mila tonnellate, solo leggermente inferiore agli anni “normali” come il 2019 e il 2018 (285mila tonnellate).

«Ma il momento è comunque delicato – spiega Matteo Martinelli, vicesindaco con delega alle Politiche del marmo – perché negli ultimi tempi la normativa di settore è diventata molto più stringente. Nel futuro non serviranno altre norme, ma bisognerà monitorare con attenzione gli effetti degli strumenti introdotti per applicare correttivi alla luce dell’evoluzione dell'attività di cava». L’Amministrazione comunale apre una porta - consapevole dell'importanza del marmo per un'area bisognosa di sviluppo e per le casse comunali (le aziende pagano circa 25 milioni l'anno di tasse-marmo) – ma chiede un cambio di passo: «Le imprese lapidee devono essere più attente ai bisogni del territorio e finanziare progetti d’interesse collettivo», aggiunge il vicesindaco.

La ripartenza post-Covid potrebbe aiutare a distendere i rapporti industria-istituzioni. Nel 2020 l’export lapideo, motore del distretto, è sceso del 22% da 709,5 a 550,3 milioni (dati Monitor distretti IntesaSanpaolo). Ma già dall’estate scorsa l’orizzonte si è rischiarato.

«Il rimbalzo è in atto e il sentiment sul mercato è positivo – spiega Matteo Venturi, a capo degli industriali apuani che sono parte di Confindustria Livorno-Massa Carrara – le vendite stanno riprendendo anche perché alcuni clienti, che a causa della pandemia non potevano venire a fare i collaudi dei blocchi acquistati, li stanno affidando a operatori locali».

Ora la scommessa per il distretto (1.200 aziende, 5mila addetti diretti e 3mila nell’indotto, 1 miliardo di produzione pre-Covid per il 70% all'estero) è valorizzare un materiale che è naturalmente ‘green' e accelerare sul riciclo e sull'economia circolare. «Stiamo facendo progetti per riutilizzare i prodotti di risulta dell'estrazione come sassi e polvere – aggiunge Venturi – ma la politica deve aiutarci permettendo di fare riempimenti in mare, scogliere, filtri. Il futuro è promettente: ci sono startup che hanno brevettato tessuti speciali fatti al 50% col marmo. Vogliamo far diventare quest’area il centro mondiale della pietra naturale, all’avanguardia nella formazione e nei processi di lavorazione».

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