Urbanistica

L'inversione di rotta del superbonus 110% riscrive l'ordine degli interventi

Le coibentazioni, che sono le opere più efficienti, rischiano di perdere spinta

di Dario Aquaro e Cristiano Dell'Oste

Dal riscaldamento alla coibentazione, fino agli impianti da fonte rinnovabile. L’inversione di rotta sul superbonus potrebbe influire sulle scelte dei proprietari e cambiare (di nuovo) la distribuzione dei lavori.

Con la detrazione del 110% – spiega l’ultimo report Enea – più di un quarto degli investimenti (26%) ha interessato le pareti verticali, il cosiddetto cappotto termico; il 18% la sostituzione degli infissi e l’8% la coibentazione di soffitti e tetti. Mentre tra gli impianti, con poco meno dell’8% degli investimenti, sono stati premiati i sistemi ibridi (caldaia a condensazione e pompa di calore), seguiti dalle pompe di calore (5,5%) e dalle caldaie a condensazione (3,7 per cento).

La mappa degli impieghi da superbonus è quindi concentrata sull’involucro. Ed è molto diversa da quella degli anni scorsi, quando si tendeva a preferire ristrutturazioni meno pesanti (e costose). Come rivela lo stesso Enea, nel periodo 2014-2020, prima del boom del 110%, ha dominato la sostituzione delle finestre (dieci miliardi di euro di investimenti), seguita a gran distanza dalle caldaie a condensazione (quattro miliardi) e dai lavori su pareti orizzontali (3,3 miliardi) e verticali (2,7 miliardi).

Uno studio di Banca d’Italia («Il Superbonus: impatto sui conti pubblici e sul settore edilizio», di Olivieri e Renzi) stima che metà degli investimenti agevolati dal 110% non si sarebbero verificati in assenza dell’incentivo. Ma questo effetto aggiuntivo non copre l’intero costo dell’agevolazione per l’Erario, come ha precisato in audizione al Senato Giacomo Ricotti, capo del servizio assistenza e consulenza fiscale di Bankitalia.

Come coniugare l’equilibrio dei conti pubblici e gli obiettivi di riqualificazione del patrimonio edilizio residenziale? Ragioniamo sulle opere. «Il maggior risparmio energetico arriva dai lavori sull’involucro. Lavori i cui investimenti, senza incentivi, avrebbero però un ritorno economico in 12-15 anni», commenta Davide Chiaroni, vicedirettore Energy & Strategy del Politecnico di Milano. «Nelle analisi degli operatori – prosegue – un “sano” equilibrio di detrazione, lontano dagli eccessi del 110%, sarebbe intorno al 65-70%: per consentire un ritorno almeno in 6-7 anni». È un livello di agevolazione più vicino all’attuale concetto di ecobonus, che però ha spinto soprattutto il “kit di base” della riqualificazione energetica: cambio di serramenti e caldaie. Con benefici che ripagano gli investimenti (contenuti) in tempi ragionevoli.

Il problema del cappotto sono i costi, a partire dai ponteggi, e il peso degli adempimenti, dei permessi. Senza contare gli oneri accessori: se il cappotto è spesso, ad esempio, potrebbe costringere a rifare le aperture finestrate.

Altra questione, invece, riguarda gli edifici su cui concentrare gli interventi. «Già far salire in classe energetica E gli edifici oggi in classe G e F significa rinnovare oltre il 60% delle abitazioni – osserva Chiaroni –. Raggiungere questo livello vuol dire tagliare i consumi del 30% rispetto a una classe F e del 40-45% rispetto a una classe G. Tuttavia, la classe E comporta comunque consumi doppi rispetto alla classe B, e non può essere l’obiettivo finale a cui tendere».

Dal punto di vista della “qualità” delle opere, la chiave sarebbe associare l’incentivo al kilowattora risparmiato e non all’euro speso. Perché un conto è sostituire una caldaia a gas abbastanza efficiente, un altro è rottamare un impianto a gasolio degli anni 50. «Non sarebbe neanche corretto differenziare gli aiuti in base alla classe energetica, visto che tanti edifici sono inquadrati in classe G, di default, perché mai classificati. Collegare l’incentivo agli obiettivi di risparmio – spiega ancora Chiaroni – è più complesso ma più sensato, seguendo un po’ la logica che animava i certificati bianchi. Ma tenendo presente che togliere del tutto la cessione del credito e lo sconto in fattura può solo frenare gli investimenti».

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