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La Cassazione mette un freno al nuovo abuso d'ufficio

Ancora sanzionabili le condotte espressione di discrezionalità apparente

di Giovanni Negri

Magari non si potrà definirla una vera e propria demolizione, tuttavia la Cassazione si sta mettendo d’impegno per circoscrivere la riforma dell’abuso d’ufficio, in vigore da pochi mesi, e per conservare spazi anche ampi al penalmente rilevante. Lo testimonia da ultimo la sentenza n. 8057 della sesta sezione, con la quale è stata confermata la condanna inflitta, quando ancora era in vigore la vecchia disciplina dell’articolo 323 del Codice penale, a carico del responsabile del servizio di polizia municipale di un comune sardo.

La Cassazione, nel decidere il ricorso, ha dovuto inevitabilmente affrontare il nodo dell’intervento voluto dal Governo Conte 2, con il decreto legge n. 76 del 2020, operativo dal luglio scorso. Obiettivo dichiarato dell’intervento quello di evitare l’impatto di sostanziale deresponsabilizzazione, ovvero il “timore della firma”, dei funzionari pubblici anche per effetto di un’ampia applicazione dell’abuso d’ufficio. Di qui la riforma che ha voluto delimitare l’area del penalmente rilevante alle sole trasgressioni di regole di condotte previste dalla legge oppure di atti di forza equivalente che non lasciano spazi di discrezionalità.

Proprio su quest’ultimo aspetto si è concentrata la Corte ( dopo che già poche settimane fa con la sentenza n. 442 del 2021 aveva considerato comunque penalmente sanzionabile un uso del potere discrezionale per fini distanti dall’interesse pubblico), facendo leva ancora sul concetto di potere discrezionale. Per la sentenza, infatti, la riforma non ha voluto solo fare riferimento ai casi in cui la violazione ha per oggetto una specifica regola di condotta collegata all’esercizio di un potere già in origine previsto da una norma come del tutto vincolato, con un’azione amministrativa predeterminata in ogni suo aspetto, ma anche «ai casi riguardanti l’inosservanza di una regola di condotta collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto dalla legge come discrezionale, sia divenuto in concreto vincolante per le scelte fatte dal pubblico agente prima dell’adozione dell’atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l’abuso di ufficio».

Una sorta di discrezionalità in realtà solo “mascherata”, di non facile incasellamento giuridico e che la Cassazione considera comunque in linea con quanto già stabilito dalla giustizia amministrativa. In questo senso la Corte chiama a corroborare il proprio ragionamento il Consiglio di Stato , pronuncia n. 4089 del 2019, con la quale è stato riconosciuto come annullabile il provvedimento amministrativo espressione di un potere discrezionale solo in astratto, ma diventato vincolato in concreto, un potere cioè che per le scelte che il pubblico ufficiale ha compiuto in concreto non poteva che considerarsi espressione di uno spazio ormai azzerato di discrezionalità.

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