Appalti

La reitera di un vecchio contratto non determina illecito professionale a carico dell'affidatario

Prorogare il contratto è uno specifico ed esclusivo potere della Pa di cui non può rispondere l'aggiudicatario

di Stefano Usai

La circostanza che l'operatore economico abbia ricevuto proroghe e reiterazioni sulla durata di un vecchio contratto, secondo il ricorrente non dovute, non può portare a configurare queste determinazioni come «illeciti professionali» potenzialmente in grado di inibire la partecipazione perché non esiste in carico all'impresa un potere di vigilanza sull'operato della stazione appaltante. In questo senso la sentenza del Consiglio di Stato, n. 6655/2021.

La vicenda
Nell'impugnazione, alla sentenza di primo grado del Tar Campania n. 639/2021, il ricorrente ha contestato l'aggiudicazione dell'appalto di un «servizio triennale di supporto all'assistenza e alla riabilitazione psichiatrica territoriale», evidenziando che l'aggiudicataria sia stata affidataria, in passato e per alcuni anni, di assegnazioni in proroga.
Sull'assunto che questi rapporti erano da intendersi «come rapporti contra legem e radicalmente nulli (parere Anac n. 867/2019, reso ai sensi dell'articolo 211 comma -ter del Dlgs 50/2016)», l'appellante è giunto a sostenere che l'aggiudicatario non avrebbe potuto partecipare alle competizioni successive.
In particolare, tra gli altri, per il fatto che «per effetto delle ripetute proroghe, sarebbe configurabile a suo carico la causa escludente prevista dall'articolo 80, comma 5, lettera c) Dlgs 50/2016 (primo motivo di appello)».
Norma in cui, la causa di esclusione, trova fondamento nella perpetrata «frode ai sensi dell'articolo 1 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee».

La decisione
Il Consiglio di Stato ha disatteso la tesi prospettata (oltre alle altre ragioni di doglianza). Secondo la sentenza, la configurazione di illecito professionale richiamata dall'appellante (ma, evidentemente, anche le altre ipotesi declinate nell'articolo 80 del Codice dei contratti) accede «a fattispecie di condotta direttamente riconducibili all'impulso oggettivo e volitivo dell'impresa partecipante alla gara».
La decisione di reiterare/prorogare la durata del contratto d'appalto trova fondamento e rimanda, evidentemente, «a valutazioni e iniziative proprie ed esclusive della parte pubblica».
Di queste determinazioni, della parte pubblica, e della correlata correttezza non può mai essere chiamato a rispondere «l'operatore affidatario».
L'affidatario, ovviamente, sarà responsabile della fase civilistica dell'esecuzione del contratto ovvero della «copertura in continuità del servizio commissionatogli».
Non è ravvisabile, e del resto l'appellante non ha fornito al collegio alcun riferimento che interessi la questione sollevata, nessuna disposizione normativa - ha precisato il giudice - «che assegni all'affidatario della commessa pubblica un onere d'iniziativa od un potere di vigilanza sull'operato dell'ente aggiudicatore».
Più in dettaglio, non è ravvisabile un riferimento preciso che dalla «violazione di questo onere faccia discendere una quale conseguenza di rilievo giuridico».
È emersa inoltre una questione pratica, nel senso che pur (magari) rilevato detto onere non è facile intuire, si legge in sentenza, «in quali forme e con quali modalità un siffatto ruolo di vigilanza dovrebbe attuarsi e tradursi in azioni cogenti ed efficaci».
È interessante, infine, un'ulteriore questione affrontata dal giudice in tema di compenso per l'avvalimento (per il prestito dei "requisiti" speciali) per l'ausiliario.
Nel caso in cui nel contratto di avvalimento non sia riportato il compenso o comunque un riferimento che possa consentire di comprendere i termini dei rapporti, lacuna per cui finora si è ritenuta esclusa la possibilità di attivare il soccorso istruttorio integrativo, il giudice ha introdotto importanti elementi che porteranno a una nuova riflessione sul tema.
Nell'epilogo della sentenza, infatti, si legge che l'eventuale lacuna derivante dalla mancata espressa determinazione del corrispettivo può essere colmata in forza della norma suppletiva, analogicamente applicabile, di cui all'articolo 1657 del codice civile, concernente il contratto di appalto, a mente della quale «se le parti non hanno determinato la misura del corrispettivo né hanno stabilito il modo di determinarla, essa è calcolata con riferimento alle tariffe esistenti o agli usi; in mancanza, è determinata dal giudice». Una sorta, quindi, di intervento "sostitutivo" che avrebbe l'effetto di sanare l'eventuale carenza.

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