I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

La scelta dell'ente di rimanere contumace e la preclusione documentale in appello

di Marisa Abbatantuoni (*) - Rubrica a cura di Anutel

Nel processo tributario, l'ente impositore non ha l'obbligo di replicare ai motivi di ricorso proposti dal ricorrente è quindi sua facoltà quella di scegliere di costituirsi in giudizio. Questo perché il ricorrente come ha rammentato la Commissione tributaria Provinciale Modena sezione II, n. 948/2015 è "attore" improprio perché non agisce per azionare un suo diritto ma per contrastare l'esercizio di altrui diritto di credito già azionato con l'avviso che quindi "provoca" il contribuente: tale stato di cose determina che il "principio di non contestazione" opera solo a favore dell'ufficio in quanto esso "accerta" ed è il ricorrente che "contesta", cioè si oppone. Se il ricorrente non si oppone significa che accetta.

L'ufficio, al contrario, ha già "contestato" l'evasione fiscale quindi, in veste eventuale di convenuto sostanziale perché chiamato in giudizio dal ricorrente, non è affatto tenuto a ripetere in giudizio le medesime contestazioni già fatte con l'avviso di accertamento. Dunque l'ufficio non ha il dovere di replicare ai motivi di ricorso, da ciò discende la libera scelta processuale di costituirsi o meno in giudizio e cosa importante, il giudice tributario deve giudicare della legittimità dell'atto opposto indipendentemente dalla costituzione dell'ufficio.

Orbene, se è facoltà dell'ente locale non costituirsi nel giudizio innanzi alla Commissione tributaria provinciale di competenza, restando quindi contumace, cosa accade qualora decida di farlo in sede di appello o di proporre esso stesso impugnazione alla sentenza del primo gravame? Quali sono i documenti che possono essere prodotti e quelli preclusi? A questi interessanti quesiti ha dato risposta la sentenza della Corte di cassazione 14567/2021 che si è interrogata sulla legittimità della produzione documentale attestante la notifica di cartelle esattoriali, solo innanzi alla Ctr del Lazio. Il contribuente lamentava, tra i motivi di ricorso, la mancata prova della notifica dell'atto tributario, doglianza che trovava, dunque, accoglimento dalla Ctp di Roma.

Successivamente, l'ente ha propost appello innanzi la Ctr Lazio allegando le relate di notifica delle cartelle esattoriali, condotta processuale che però non è stata accolta dal Collegio laziale che ha censurato per inammissibilità la produzione di questi documenti fatta dall'agente della riscossione solo in appello, e con ciò interpretando restrittivamente l'articolo 58 del Dlgs 546/1992, affermando che l'omessa produzione degli stessi documenti in primo grado avrebbe comportato per il contribuente la perdita di un grado di giudizio sul merito della controversia.

L'articolo 58 del Dlgs 546/1992 - rubricato "Nuove prove in appello" - stabilisce, al comma 1, che «Il giudice non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile», mentre al comma 2 prevede che "È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti". Orbene, la previsione del comma 2 codifica un principio di carattere generale, secondo cui è sempre possibile per le parti produrre nuovi documenti nel giudizio d'appello avanti la Commissione tributaria regionale e ciò in quanto, alla luce del principio di specialità espresso dall'articolo 1, comma 2 del Dlgs 546/1992, in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest'ultima, non trova applicazione la preclusione prevista dall'articolo 345 del codice di procedura civile, comma 3, (nel testo introdotto dalla legge 69/2009), essendo la materia regolata dal sopra citato, articolo 58, comma 2, Dgs 546/1992, che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cassazione civile sezione tributaria n. 27774/2017). La Corte ha rammentato al Collegio laziale che il discrimine è tra "mera difesa" ed "eccezione in senso stretto", la prima volta a contrastare le ragioni poste a fondamento del ricorso originario è dunque ammissibile, la seconda, è preclusa dal dettato dell'articolo 57 del Dlgs 546/1992 (Cassazione civile sezione tributaria n. 8313/2018).

I supremi giudici inoltre, hanno dichiarato di non condividere l'argomentazione del giudice di appello, il quale ha ritenuto che non fosse possibile ammettere i documenti in esame, in quanto il contribuente sarebbe stato privato ingiustamente di un grado di giudizio sul merito della controversia. Su questa questione, difatti, la Corte Costituzionale con la sentenza del n. 199/2017, ha affermato che è insussistente la dedotta violazione dell'articolo 24 della Costituzione, per la perdita di un grado di giudizio, in quanto la garanzia del doppio grado non gode, di per sé, di copertura costituzionale. A differenza del processo civile, dunque, nel processo tributario le parti possono "produrre liberamente" i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado (Cassazione civile n. 5491/2017).

Ancora, nel processo civile, contrariamente, la mancata produzione dei documenti in primo grado ne impedisce la produzione nel grado di appello, fatta salva la dimostrazione della causa non imputabile alla parte; diversamente, nel processo tributario, la produzione è valida anche nel caso in cui la parte sia rimasta contumace, unico accorgimento, stante il richiamo operato dall'articolo 61 del Dlgs 546/1992 alle norme relative al giudizio di primo grado, entro il termine previsto dall'articolo 32, comma 1, ossia fino a venti giorni liberi prima dell'udienza con l'osservanza delle formalità previste dall'art. 24, comma 1.

(*) Avvocato tributarista, conflict coach, docente Anutel

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