Imprese

La sfida di Webuild: diversificare senza perdere il primato delle infrastrutture

Strategia e obiettivi del piano di riorganizzazione del big nazionale per cogliere le opportunità della transizione climatica ed energetica, dell'emergenza idrica e dell'agricoltura resiliente

di Aldo Norsa e Stefano Vecchiarino

Il 2022 è l'anno cerniera per il maggior gruppo italiano delle costruzioni, dopo un 2021 in perdita con un recupero della redditività e soprattutto un ulteriore balzo dimensionale (sia in termini di fatturato che di portafoglio lavori che di organico). Questi exploit favoriti anche da una crescita esterna che ha avuto l'ultima significativa acquisizione in Italia (nel 2020) inglobando Astaldi (a conclusione del cosiddetto "Progetto Italia") per proseguire nel 2023 con l'acquisto, in Australia, di Clough. Ecco i numeri presentati per il 2022 non a caso confrontati con quelli del 2012 (l'ultimo anno in cui la milanese Impregilo, ridenominata Webuild nel 2020, è "sola" prima di diventare Salini Impregilo in seguito all'acquisto da parte dell'impresa familiare romana nel 2013 e il successivo ingresso nel capitale di Cdp Equity nel 2019). In dieci anni i ricavi consolidati aumentano 3,5 volte da 2,3 a 8,2 miliardi, il portafoglio ordini 3,2 volte da 16,8 a 53,4 miliardi, il numero di dipendenti 7,3 volte da 11.400 a 83.000.

Queste dimensioni fanno oggi di Webuild il nono gruppo delle costruzioni in Europa (nella classifica di Guamari) e, in attesa di quella mondiale di Enr - Engineering News-Record, probabilmente tra i primi 50 "global contractors". Un aspetto qualitativamente significativo è la riduzione del "rischio Paese", sempre tra il 2012 e il 2022: se Impregilo aveva all'epoca nel Sud America il mercato principale (40% della cifra d'affari), seguito da Italia (23%) e Est Europa (16%), attualmente Webuild si concentra maggiormente nel mercato domestico (31%), nel Nord America (20% grazie alla controllata Lane), in Europa (18%) e in Australia (13%, quota destinata a crescere con lo sviluppo impresso a Clough, anche in virtù di una sua diversificazione, come dimostra il contratto firmato con Saipem per un impianto industriale di urea).

Particolarmente interessante è il documento, chiamato "Roadmap 2025", che completa la presentazione del bilancio 2022 con l'analisi dell'evoluzione del business, facendo leva sui principali aspetti strategici individuati in una prospettiva temporale 2023-2025 (comunque promettente tenendo conto che il portafoglio ordini copre il 95% del fatturato consolidato medio atteso per il triennio, in previsione di raggiungere nel 2025 una cifra d'affari di 10,5/11 miliardi). A parte le proiezioni sul miglioramento dei dati economico/finanziari quello che più rileva è lo sforzo di Webuild di trasformarsi da gruppo prevalentemente specializzato nella realizzazione di infrastrutture (seppure con miglior distribuzione geografica che vede la statunitense Lane e l'australiana Clough affiancare la casa madre in mercati a minor rischio) in operatore della trasformazione del territorio diversificato a tutto campo, sull'esempio dei maggiori competitors europei e mondiali. Senza certo perdere il primato nelle infrastrutture: basti pensare che in Italia è capofila del raggruppamento che ha appena iniziato a realizzare la nuova diga foranea di Genova (928 milioni) ma, soprattutto, spera, alla testa del consorzio internazionale Eurolink, di vedersi confermato il contratto per l'ambizioso ponte sullo Stretto di Messina (oggi quotato 13,5 miliardi).

Poiché i quattro temi strategici da affrontare per posizionarsi come partner dei grandi clienti internazionali sono individuati nel documento citato in: transizione climatica ed energetica, emergenza idrica e agricoltura resiliente, Webuild si propone di riorganizzare le sue divisioni/società come segue. La società impiantistica Fisia Italimpianti vorrebbe diventare leader mondiale della dissalazione dell'acqua; la divisione Webuild Concessions (nella quale sono concentrate le concessioni, soprattutto quelle ereditate da Astaldi) impegnarsi nelle infrastrutture "greenfield" in collaborazione con primari investitori; le imprese Seli Overseas e Cossi Costruzioni operare nel tunnelling, e nella manutenzione con particolare focus sui corridoi infrastrutturali Ten-T; Webuild Real Estate presumibilmente valorizzare le poche proprietà edificabili che fanno capo a società come Cepriv o Zeis (di proprietà della famiglia Salini); le imprese, la generale Csc (di diritto svizzero) e l'impiantistica Nbi (Nuova Busi Impianti) focalizzarsi sullo sviluppo di edifici sostenibili.

E proprio quest'ultimo sembra il punto più critico dell'ambizioso progetto di diversificazione perché l'edilizia (soprattutto per i più esigenti clienti privati) è da sempre (quindi dalla fondazione, nel lontano 1994, di Impregilo) il "tallone d'Achille" di un gruppo che si vuole globale (i cui concorrenti sono tutti ben agguerriti nel mercato immobiliare). Non a caso, limitandosi all'Italia, dei 29 cantieri recentemente mappati (per via del loro "indotto") ne Il Sole 24 Ore, l'unico di edilizia privata è la nuova sede Eni a San Donato Milanese, un progetto inizialmente valutato 171 milioni per conto di un fondo immobiliare riservato a investitori gestito da DeA Capital Real Estate, iniziato nel 2017 e solo oggi in fase di consegna nonostante una durata dei lavori inizialmente prevista in 30 mesi con significativi extracosti. A cui si aggiunge, nel settore pubblico, l'ospedale di Monopoli-Fasano (ereditato da Astaldi con tutta la problematica dovuta al protratto concordato preventivo della ex-maggiore concorrente di Impregilo): un contratto da 115 milioni acquisito nel 2018 e la cui consegna era prevista in tre anni.

Ultima notazione, ma non certo per importanza, è che la crescita "a tappe forzate" di Webuild (alla quale contribuisce Cassa Depositi e Prestiti) rischia di configurare una situazione di "monopolio", ovviamente nel piccolo mercato italiano, che non ha paragoni in altri Paesi. Infatti, complici le difficoltà della maggior parte dei general contractors "storici" delle costruzioni, Webuild (che comunque in Italia fattura 2,5 miliardi tanto da aver deciso, dopo una prolungata vacatio, di rientrare un anno e mezzo fa nell'associazione di categoria Ance) è inseguita da imprese generali quali Itinera (gruppo Gavio) e Pizzarotti circa otto volte più piccole. Mentre ogni Paese europeo che conta annovera al vertice almeno quei tre gruppi leader (spesso molto diversificati) che assicurano una reale concorrenza nel mercato interno (spesso "orchestrata" nell'interesse del sistema Paese proprio dalle maggiori entità private e anche pubbliche).

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