Le spese per la pianificazione generale non possono essere qualificate come investimento
La qualifica è riservata tassativamente alle sole ipotesi previste dalla legge 350/2003
Le spese per la redazione di atti di pianificazione generale degli enti locali, non rientrando in alcuna delle ipotesi tassative previste dalla legge 350/2003, non possono essere contabilizzate fra le spese del titolo II, non trattandosi di spese di investimento.
È quanto ha sancito la Corte dei conti Puglia nel parere n. 193/2021, rispondendo a una specifica richiesta di parere, tesa a conoscere quale fosse il trattamento da riservare alle spese per la redazione e le varianti degli atti di pianificazione generale predisposti dagli enti locali (Prg, Pug, Piano degli impianti pubblicitari, Piani del colore, Piano del commercio, eccetera).
Nell'istanza presentata è – opportunamente – sottolineato che, in realtà, nel sistema contabile delle aziende private questi oneri possono essere iscritti tra le immobilizzazioni, per effetto del riconoscimento di un'utilità pluriennale e di condizioni di recuperabilità del costo nel tempo.
Per giungere alla conclusione indicata la Sezione regionale, nel parere, ha ripercorso efficacemente l'evoluzione normativa intervenuta sul tema del ricorso all'indebitamento, a partire dalle modifiche recate all'articolo 119 della Costituzione nel 2001 e 2012, secondo le quali i Comuni, le Province e le Città metropolitane «Possono ricorrere all'indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l'equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti».
Coerentemente, l'articolo 202, comma 1, del Dlgs 267/2000 ha stabilito che il ricorso all'indebitamento da parte degli enti locali è ammesso esclusivamente nelle forme previste dalle leggi vigenti in materia e per la realizzazione degli investimenti, con una disposizione che è stata rafforzata dalla legge 289/2002, che non solo ha sancito la nullità degli atti e dei contratti posti in essere in violazione delle norme ma ha congiuntamente attribuito alle sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti il potere di irrogare agli amministratori la condanna a una sanzione pecuniaria pari a un minimo di cinque e fino a un massimo di venti volte l'indennità di carica percepita al momento della commissione della violazione.
Fondamentale è, poi, la legge 350/2003 che, in modo analitico, ha precisato mediante apposito elenco, che deve intendersi come tassativo, le fattispecie che costituiscono investimenti e che, in quanto tali, possono consentire legittimamente il ricorso a indebitamento per il loro finanziamento.
Questo quadro normativo ha già determinato, in passato, alcune significative pronunce, a partire dalla deliberazione n. 25/2011 delle Sezioni Riunite in sede di controllo, che ha evidenziato che le disposizioni della legge 350/2003 devono inoltre essere «lette e interpretate in senso letterale e restrittivo. Ciò per l'esigenza di assicurare un comportamento gestionale degli enti improntato a una prassi di assoluto rigore», escludendo che la spesa per il conferimento di un incarico professionale per la redazione di un piano urbanistico possa rientrare fra quelle finanziabili tramite mutuo o altre forme di indebitamento.
Parimenti significativa è la deliberazione n. 30/2015 della Sezione delle Autonomie, secondo la quale «la nozione di "spesa di investimento" è più restrittiva di quella di spesa in conto capitale, in quanto inclusiva delle sole erogazioni di denaro pubblico cui faccia riscontro l'acquisizione di un nuovo corrispondente valore al patrimonio dell'ente che lo effettua». Nella medesima prospettiva è stato evidenziato che «mentre la spesa di investimento comporta la trasformazione di capitale finanziario in capitale reale a utilità pluriennale intestato alla collettività […], la spesa in conto capitale può consistere in una utilità durevole, senza che si abbia necessariamente questa trasformazione».
Di conseguenza, qualificazione in termini di investimento deve essere riservata alle sole spese inerenti in modo diretto e fisiologico alle fattispecie contemplate dalla legge, sempre che dalle stesse derivi un aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare piuttosto che un aumento della ricchezza dell'ente.
Il descritto quadro di riferimento deve informare pure la lettura del piano integrato dei conti (introdotto dall'armonizzazione contabile) che ricomprende, nel titolo 2 del bilancio, le spese per incarichi professionali; la relativa voce è espressamente riferita, in particolare, agli «Incarichi professionali per la realizzazione di investimenti» (voce U.2.02.03.05.000).
Con la conseguenza che le spese per la redazione di atti di pianificazione generale degli enti locali non sono suscettibili di essere ricondotte in modo diretto ad alcuna delle ipotesi tassative di investimento contemplate e, pertanto, non possono essere contabilizzate nell'ambito della richiamata voce del piano integrato dei conti.
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di Marco Castellani (*) - Rubrica a cura di Ancrel