I temi di NT+Rassegna di giurisprudenza

Le ultime pronunce in materia di retribuzione di risultato e valutazione individuale

di Luca Tamassia e Angelo Maria Savazzi

Premi e compensi incentivanti – Maturato economico – Predeterminazione degli obiettivi – Miglioramento quali-quantitativo dei servizi – Trasferimento di personale– Non configurabilità della reformatio in pejus
I premi o compensi incentivanti previsti dagli artt. 17 e 18 del Ccnl 1 aprile 1999 per il comparto delle regioni ed autonomie locali non possono avere rilevanza ai fini della determinazione del cd "maturato economico" perché si tratta di compensi espressamente introdotti come strettamente correlati ad effettivi incrementi di produttività e di miglioramento quali-quantitativo dei servizi, in coerenza con gli obiettivi annualmente predeterminati dagli enti di appartenenza. Tali compensi, quindi, non costituiscono componenti fisse e necessarie dello stipendio complessivo annuo.
Nel caso di trasferimento di personale ad altra amministrazione pubblica, l’assegno ad personam necessario per salvaguardare il trattamento economico complessivo in godimento all’atto del trasferimento non deve includere i premi e gli incentivi in quanto non possono essere considerati come stabilmente e continuamente dovuti. La mancata inclusione nell’assegno ad personam del premio di produttività, erogato dalla precedente amministrazione, non determina una reformatio in pejus del trattamento economico.

Riferimenti giurisprudenziali
Cassazione, Sezione civile, ordinanza n. 14892 del 2019
Cassazione, Sezione civile, sentenza n. 6345 del 2019
Cassazione, Sezione lavoro, sentenza n. 10034 del 2012

Riferimenti normativi
Costituzione, art. 36
Legge 124/1999, art, 8, co. 2
Legge 266/2005, art. 1, co. 218
Ccnl 1.4.1999, artt. 17 e 18

Cassazione, Sezione Civile, ordinanza 20 maggio 2020, n. 9306

Produttività - Prestazione lavorative al di fuori dell’orario di lavoro – Lavoro straordinario – Uso improprio dei progetti incentivanti
Le prestazioni lavorative effettuate fuori dall’orario di lavoro devono essere considerate come lavoro straordinario. Ne consegue che le prestazioni lavorative, remunerate attingendo al Fondo salario accessorio – parte variabile, devono essere erogate relativamente a prestazioni espletate durante l’orario di lavoro, in quanto destinate a conseguire un miglioramento dei servizi sulla base di obiettivi predeterminati.
L’innalzamento del livello quali-quantitativo dei servizi offerti non può misurarsi in ogni caso con il semplice aumento del monte-ore lavorativo, soprattutto quando questo è finalizzato a recuperare efficienza nella “macchina” organizzativa. Si rientra, pertanto, nella fattispecie di un uso improprio dei progetti-obiettivo che si configura come una sorta di “abuso” del Fondo salario accessorio, sicuramente disfunzionale rispetto al paradigma normativo-contrattuale. Le somme erogate costituiscono esborsi che, seppure compensativi delle prestazioni aggiuntive dei dipendenti, sono del tutto snaturate rispetto agli obiettivi di valorizzazione del criterio “meritocratico”.

Riferimenti giurisprudenziali
Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale del Molise, Sent. n. 22 /2019
Corte di Appello di Catanzaro, Sezione lavoro, Sentenza n. 1972/2018

Riferimenti normativi
Costituzione, art. 36
Ccnl 1.4.1999, artt. 17 e 18
Ccnl 31.3.1999, art. 14

Corte dei conti, II Sezione centrale di appello, Sentenza 22 aprile 2020, n. 79

Obblighi di pubblicazione – Retribuzione di risultato – Dirigenti – Segretario comunale - Responsabilità
Quando una disposizione di legge prevede l’impossibilità di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigenti come conseguenza generale del mancato adempimento di una prescrizione normativa, senza ulteriori precisazioni, non può essere invocata la responsabilità del responsabile del procedimento quale esimente di tale conseguenza radicale.
La responsabilità del dirigente che ha disposto la liquidazione non è riferita alla paternità dell’omissione delle prescritte pubblicazioni sul sito internet dell’ente locale, ma alla erogazione della retribuzione di risultato in favore del Segretario generale avvenuta, con determinazione a sua firma, in mancanza del citato adempimento. Non rileva minimamente la spettanza della retribuzione di risultato, secondo le disposizioni contrattuali vigenti, venendo, al contrario, ad emersione la responsabilità correlata alla erogazione dell’emolumento in assenza della pubblicazione sul sito internet dell’ente locale da cui deriva come conseguenza l’ impossibilità di erogazione.
Non può nemmeno essere invocato l’esito positivo della valutazione individuale che non abilita di per sé all’erogazione. Se è vero che all’organismo di valutazione sono intestati, tra gli altri, i compiti della valutazione della performance dei dirigenti e della attestazione “dell’assolvimento degli obblighi relativi alla trasparenza e all’integrità…”, tuttavia non per questo il dirigente preposto avrebbe dovuto sottoscrivere gli atti di liquidazione in presenza di un preciso divieto. La liquidazione della retribuzione di risultato non si configura come un atto dovuto affrancato da qualsivoglia controllo, specie con riferimento alla sussistenza di un presupposto la cui mancanza configura un impedimento, o più precisamente un divieto, alla liquidazione stessa.
Il divieto di erogazione della retribuzione di risultato, quindi, non solo non appare arbitrario rispetto all’interesse pubblico perseguito, ma nemmeno si rivela in contrasto con il principio posto dall’articolo 36 della Costituzione, che consacra il diritto ad una retribuzione adeguata alla qualità ed alla quantità della prestazione lavorativa, ma che non può, all’evidenza, ritenersi violato da una norma che, a fronte della palese inosservanza di un dovere di servizio, ha previsto a carico del dirigente inadempiente una riduzione del trattamento economico fissato con il sinallagma contrattuale, in un importo corrispondente al mancato apporto del dirigente alla produttività e redditività della sua prestazione, tale dovendo intendersi la somma altrimenti dovuta a titolo di retribuzione di risultato.

Riferimenti giurisprudenziali
Corte di cassazione, Sezione lavoro, Sent. n. 2459/2011
Corte di cassazione, Sezione lavoro, Sent. n. 2462/2018

Riferimenti normativi
Costituzione, art. 36
Dlgs n. 165/2001, art. 24
Dlgs. N. 150/2009
Ccnl 16.5.2001 (segretari comunale), art. 42
Ccnl 23.12.1999 (dirigenti), art. 29

Corte dei conti, II Sezione centrale di appello, Sentenza 30 aprile 2020, n. 99

Retribuzione di risultato– Predeterminazione degli obiettivi – Attività ordinaria – Titolo giustificativo – Relazione a consuntivo – Efficienza ed efficacia – Impossibilità di erogazione
Si deve escludere che il dirigente abbia diritto alla retribuzione di risultato per il solo fatto di aver svolto funzioni dirigenziali in assenza della dimostrazione, vagliata dal competente ufficio dell’ente, dell’effettivo raggiungimento degli obiettivi ad essa correlati. L’indennità di risultato è, infatti, una componente della retribuzione volta a remunerare la prestazione lavorativa in funzione dei risultati raggiunti.
In assenza di una reale predeterminazione degli obiettivi, che devono essere diversi e ulteriori da quelli riconducibili all’ordinaria attività dirigenziale, nonché a quelli genericamente riferibili ai compiti istituzionali dell’Ente, l’Amministrazione non può riconoscere e, quindi, erogare alcuna indennità di risultato, poiché in tal caso l’erogazione dell’emolumento sarebbe priva di titolo giustificativo.
Una relazione a consuntivo disancorata dalla formulazione di obiettivi previamente assegnati non è di per sé presupposto sufficiente per l’erogazione dell’emolumento, posto che la retribuzione di risultato esige un vaglio, ad opera del competente ufficio, circa la rispondenza nell’an, nel quantum, nel quando e nel quomodo dei risultati della gestione agli obiettivi determinati ex ante dall’ente.
Per obiettivi da conseguire quale condizione per l’erogazione dell’emolumento, sono da intendersi quelle finalità “misurabili” nell’an, nel quantum, nel quando e nel quomodo in relazione a parametri (anch’essi) predeterminati, tali da giustificare l’erogazione di spesa corrente (nella specie della retribuzione di risultato) bilanciata, nella ratio sottesa a detta voce di spesa, dal recupero di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

Riferimenti giurisprudenziali
Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Puglia, n. 185/2016
Corte dei Conti, Sezione III Giurisdizionale centrale di appello, n. 167/2016

Riferimenti normativi
Dlgs n. 165/2001, art. 24
Dlgs. N. 150/2009
Ccnl 16.5.2001 (segretari comunale), art. 42
Ccnl 23.12.1999 (dirigenti), art. 29 

Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo Emilia Romagna, Deliberazione 18 giugno 2020, n. 46

Azione penale e azione giuscontabile - Irrilevanza dell’assenza di dolo intenzionale -  Autonomia processuale e sostanziale – Valutazione individuale – Conflitto di interessi - Dovere di astensione –  Illegittimità dell’autovalutazione
L’azione giuscontabile esibisce tratti di assoluta autonomia rispetto all’azione penale tanto sul piano processuale (sicché in linea di principio la previa condanna penale non è condizione di procedibilità dell’azione erariale) quanto sul piano sostanziale (il che val quanto dire che gli elementi costitutivi della fattispecie di danno erariale non coincidono con quelli della fattispecie incriminatrice penale).
Non è conferente il richiamo all’assenza di dolo intenzionale, atteso che ai fini della responsabilità erariale è sufficiente anche la sola colpa grave e in ogni caso non è richiesta una speciale connotazione del dolo.
Per la responsabilità erariale è necessario e sufficiente che la condotta del pubblico dipendente posta in essere con dolo o colpa grave, abbia provocato un “danno” all’amministrazione, laddove per “danno” si intende un deterioramento o una perdita di beni o denaro (danno emergente) ovvero anche la mancata acquisizione di incrementi patrimoniali (lucro cessante).
Il dovere di astensione in presenza di un conflitto di interessi sussiste anche nelle ipotesi in cui manchi una disciplina specifica e anche quando non vi sia stata un’autonoma presa di posizione dell’Amministrazione sul punto, sicché a nulla vale obiettare che nessun conflitto di interessi sia mai stato eccepito dall’Amministrazione. La conseguenza è che l’inosservanza del generale dovere di astensione in presenza di un interesse proprio integra di per sé l’illiceità della condotta e rende irrilevante la presenza o meno di uno specifico procedimento di previsione e gestione del conflitto nella disciplina interna dell’amministrazione.
Appare pertanto evidente l’ontologica contraddizione insita in una valutazione della performance individuale che provenga dallo stesso soggetto valutato, perché essa sarebbe di per sé contraria allo spirito e alla ratio che anima la disciplina di riferimento.
Il divieto di autovalutazione è principio insito nel sistema e pertanto non può essere considerata legittima la redazione e sottoscrizione delle schede della propria valutazione individuale, neanche ove meramente riproduttive di una altrui valutazione

Riferimenti giurisprudenziali
Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Puglia, n. 185/2016
Corte dei Conti, Sezione III Giurisdizionale centrale di appello, n. 167/2016
Cassazione, Sezione VI penale, Sent. 17 febbraio 2015 n.10133

Riferimenti normativi
Costituzione, art. 97
Legge 241/1990, art. 6bis
Dlgs. 165/2001, art. 17
Dpr 62/2013, Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, artt. 3, 7, 13
Dlgs. N. 150/2009, artt. 3, 4 , 7, 9
Ccnl 23.12.1999 (dirigenti), art. 29

Corte dei Conti, Sezione giurisdizionale Calabria, Sentenza 24 luglio 2020, n. 257