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Legge 104, i tre giorni al mese di permesso non vanno riproporzionati nei part time verticali

di Consuelo Ziggiotto

In assenza di una disciplina specifica che regoli la fruizione dei permessi ex legge 104/1992, in caso di orario di lavoro a tempo parziale verticale, occorre far riferimento al principio di non discriminazione di cui all’articolo 4 del Dlgs 25 febbraio 2000 n. 61. Questo è il contenuto della sentenza della Corte di cassazione, sezione Lavoro, n. 22925/2017. Le ragioni della decisione della Corte si muovono dal principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo pieno e lavoratori a tempo parziale, unitamente al rilievo costituzionale che assume il diritto tutelato, quello cioè del soggetto disabile di ricevere assistenza nell’ambito familiare. Il vuoto normativo è colmato da un complesso di fonti che conducono il Collegio a esprimersi a favore di un diritto all’integrale fruizione dei permessi mensili, in caso di orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario.

I fatti di causa
La vicenda è quella di un lavoratore che si è visto riproporzionare i 3 giorni di permesso per assistere la figlia gravemente disabile, a seguito della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale verticale con un’articolazione nuova dell’orario di lavoro su 4 giorni settimanali. Il giudice di primo grado ha accolto le ragioni del ricorrente, confermate poi dalla Corte d’appello, accertando il diritto a fruire, anche dopo la trasformazione del rapporto di lavoro in part time verticale, dei tre giorni di permesso mensile di cui all’articolo 33, comma 3, della legge 104/1922, condannando la società datrice al risarcimento del danno non patrimoniale per effetto dell’illegittimo riproporzionamento dei giorni di permesso, concessi nella misura di due. Il datore di lavoro e l’Inps hanno poi promosso ricorso in cassazione evidenziando che, nel vuoto normativo, sia l’Inps che l’ex Inpdap, con proprie circolari, avevano previsto la proporzionale riduzione del numero dei permessi in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale.

La diversa posizione dell’Inps e dell’Aran
Le indicazioni fornite dall’Inps nella circolare n. 133 del 17 luglio 2000, poi ribadite nella circolare n. 100 del 24 luglio 2012, riconducono ad un’istruzione precisa circa l’esatto riproporzionamento che deve essere operato in caso di part time verticale. Da parte degli interpreti, l’ombra del dubbio si è fatta progressivamente da parte alla luce di una circolare di pari contenuto scritta dall’ex Inpdap, la n. 34 del 10 luglio 2000. A coronare un orientamento che appariva essere legittimo nel suo prodursi, è arrivato anche un parere dell’Aran con cui si afferma che, nel caso di tempo parzialmente verticale, con articolazione della prestazione lavorativa limitata ad alcuni giorni della settimana, i giorni di permesso mensili vanno ridimensionati in misura proporzionale, rinviando in quella sede, per l’esatto riproporzionamento, al contenuto delle circolari Inps richiamate. Inoltre, la posizione dell’Aran sembra essere coerente con la disposizione contrattuale di cui all’articolo 6, comma 8, del Ccnl del 14 settembre 2000, dove è precisato che il criterio di proporzionalità che si applica nella quantificazione dei giorni di ferie spettanti deve essere applicato anche per le altre assenze dal servizio previste dalla legge.

La conclusione della Corte suprema
In mancanza di una disposizione specifica che offra soluzione certa, l’inviolabilità dei diritti coinvolti impone agli interpreti di ricercare tra le possibili opzioni offerte dal dato normativo, quella maggiormente aderente al rilievo degli interessi in gioco. Gli ermellini confermano la decisione d’appello, sottolineando la necessità di una valutazione comparativa delle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori, suggerendo una distribuzione in misura paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all’adozione del rapporto di lavoro part time. Secondo la Corte è ragionevole ritenere che se la prestazione lavorativa è resa per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, allora la pregnanza degli interessi coinvolti dà diritto all’integrale fruizione dei permessi. Diversa e opposta sarebbe l’ipotesi in cui le giornate lavorative fossero inferiori al 50% o addirittura fossero limitate solo ad alcuni periodi dell’anno. In questo ultimo caso la Corte non fissa regole precise di riproporzionamento, lasciando agli interpreti il compito di riempire un vuoto alla luce di una ragionevole valutazione delle opposte esigenze.

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