I temi di NT+Tributi e bilanci a cura di Anutel

Legittimo l'affidamento del nuovo canone unico con contratto a canone fisso

di Alessandro Merciari - Rubrica a cura di Anutel

Con l'entrata in vigore del canone unico sono emerse una serie di problematiche che stanno interessando quella grande platea di Comuni che avevano affidato i precedenti prelievi a società di riscossione. Sono oltre 4mila le amministrazioni locali che avevano scelto di gestire esternamente una o più entrate interessate dalla odierna riforma prevista già nella legge finanziaria del 2020.

Quadro normativo
Il legislatore, a partire dal 2021, ha previsto l'istituzione di due nuovi canoni in sostituzione dei precedenti prelievi legati alle iniziative pubblicitarie e alle occupazioni di suolo pubblico. A corredo della stessa norma istitutiva ha previsto, al comma 846, di regolare gli affidamenti delle entrate soppresse, consentendo ai Comuni, in deroga all'articolo 52 del Dlgs 446/97, di incaricare lo stesso concessionario alla gestione delle nuove entrate fino alla naturale scadenza del contratto in essere. In questo caso viene posto come unico vincolo che il nuovo rapporto contrattuale risulti a condizioni economiche maggiormente favorevoli per l'ente affidante.
Le situazioni in cui gli oltre 4mila Comuni interessati si sono trovati nel momento di passaggio dal vecchio regime al nuovo canone unico, sono tuttavia molteplici e non sempre è stato possibile ricondurle alla casistica presa in esame dal legislatore. Alcuni erano in scadenza di contratto proprio al 31 dicembre 2020, altri avevano dato in concessione solo uno dei due prelievi sostituiti, altri ancora avevano due diversi soggetti affidatari. Per cercare di dipanare queste situazioni, peraltro molto diffuse visto il grande numero di amministrazioni interessate, è intervenuto il ministero dell'Economia e delle Finanze con la pubblicazione della risoluzione 9/DF che ha valutato gli effetti derivanti dall'affidamento dei nuovi canoni a società iscritta all'apposito albo dei concessionari. Albo che per inciso oggi è in via di trasformazione con l'introduzione della sezione dedicata alle società che svolgono solo le funzioni di supporto per la gestione delle entrate. La risoluzione ministeriale ha trattato proprio l'ipotesi di affidare disgiuntamente la gestione delle entrate riferite ai due presupposti del canone patrimoniale di concessione e autorizzazione, offrendo così una possibile soluzione a tutte quelle amministrazioni che non rientravano nel caso tipico previsto dal comma 846.
Il Ministero ha ritenuto sostanzialmente che sia possibile mantenere una differenziazione nella scelta dell'affidamento della gestione delle entrate relative alle diverse componenti del canone. Dalla lettura del comma 819, con l'individuazione di due presupposti distinti, e dalla lettura del comma 820, che esclude la possibilità che in relazione alla stessa fattispecie possa essere richiesto un duplice canone, deriverebbe proprio la possibilità di un affidamento disgiunto delle due componenti del canone stesso.
Certamente una gestione disgiunta dei due presupposti dovrebbe rappresentare una soluzione limite, da utilizzare solo in determinate situazioni, come il caso in cui l'ente abbia in corso di validità due distinti contratti con due soggetti diversi per la gestione delle due principali componenti. Viceversa appare molto più efficace, sia in termini di corretta gestione che di sinergie che possono scaturire, l'ipotesi di un unico soggetto a cui affidare l'intera gestione del nuovo canone unico.

Ulteriore criticità
A complicare il quadro in cui i Comuni sono stati chiamati, da una parte a istituire le nuove entrate, approvando i regolamenti comunali e le nuove tariffe, e dall'altra costretti a rideterminare le modalità di gestione, affrontando il rapporto contrattuale con i concessionari dei prelievi precedenti, vi è stata la situazione cogente dovuta alla pandemia. La disciplina emergenziale, come abbiamo già avuto modo di evidenziare in precedenti articoli, ha di fatto ignorato i cosiddetti tributi minori, soprattutto in materia di Imposta sulla Pubblicità non era stato assunto alcun provvedimento, ne a favore dei contribuenti, ne a beneficio dei Comuni che hanno subito una forte contrazione del gettito.
Alcuni settori pubblicitari hanno visto azzerare le proprie attività, lo sfruttamento di impianti pubblicitari e di mezzi dedicati alle affissioni è venuto a mancare fin dal marzo 2020 e oggi, a distanza di oltre un anno, la ripresa appare ancora molto lontana. Di questa crisi profonda del settore ne hanno risentito dapprima il gettito dell'Imposta sulla pubblicità e ora il gettito del nuovo canone unico. La forte contrazione delle entrate ha comportato, per i Comuni che avevano esternalizzato la gestione, la necessità di andare a riequilibrare le condizioni contrattuali; proprio nel momento in cui si doveva decidere sulle nuove modalità di gestione. L'attività di riequilibrio dovrà necessariamente incastonarsi nel contesto del Codice dei contratti, e sotto questo profilo la Corte di cassazione ha predisposto una relazione tematica, la numero 56 del 8 luglio 2020 nella quale sostanzialmente si richiama il dovere di comportarsi secondo buona fede, in ossequio agli articoli 1175 e 1375 del codice civile, prevedendo proprio la possibilità di rinegoziare un contratto che risulta, per gli effetti della pandemia, sperequato. I giudici di legittimità hanno posto l'accento sull'ipotesi che si verifichi una sopravvenienza, come quella causata dal Covid19, che di fatto rovesci il terreno fattuale e l'assetto giuridico-economico su cui si è eretta la pattuizione negoziale. In questi casi, la parte danneggiata deve poter avere la possibilità di rinegoziare il contenuto delle prestazioni.

Riforma riscossione enti locali
Nell'ambito della rinegoziazione contrattuale, sia quella derivante dagli effetti della pandemia, sia quella richiesta a seguito del nuovo assetto normativo, si inserisce anche la riforma in atto sui metodi di riscossione delle entrate degli enti locali. In questo senso l'articolo 2-bis del decreto legge 193/2016, ha disposto il versamento obbligatorio delle entrate comunali sul conto corrente di tesoreria dell'ente impositore, andando quindi a incidere in modo importante sui rapporti e sulle modalità operative che i singoli Comuni avevano con i loro concessionari. Questo senza dubbio rappresenta un altro elemento che si è interposto nelle decisioni da assumere in questi mesi. Un cambiamento necessario che ha comportato un diverso rapporto con le società affidatarie, che abitualmente riscuotevano su propri conti e riversavano, a scadenze concordate, le somme incassate, trattenendosi il proprio corrispettivo. Ora, con la nuova disposizione, gli enti locali hanno dovuto organizzarsi con canali di pagamento diretti, conferendo ai propri affidatari solo poteri di consultazione sui pagamenti ricevuti. Per i Comuni una decisione che garantisce sicurezza sugli introiti ma che porta un aggravio di attività; per i concessionari una scelta che complica molto le procedure gestionali e causa problematiche legate alla liquidità.
Molti Comuni di piccole e piccolissime dimensioni si erano affidati a società iscritte all'albo stabilendo un rapporto contrattuale a «canone fisso», non prevedendo quindi un corrispettivo calcolato ad aggio sulle riscossione, ma stabilendo un importo predeterminato a favore del Comune. Modalità spesso utilizzata in tutte quelle piccole realtà italiane dove l'esiguità del gettito delle entrate affidate, portava alla scelta di regolare il rapporto contrattuale in modo semplice e snello, stabilendo cioè una somma definita sulle proiezioni di incasso degli anni precedenti, lasciando di fatto al soggetto privato il beneficio ma anche l'onere e il rischio di incassare dai contribuenti il tributo locale affidato. Questa scelta trova ampia giustificazione proprio quando siamo in un contesto di introiti modesti, che renderebbero viceversa anti economica una gestione ad aggio. Per il Comune di piccole dimensioni, con personale impiegato molto limitato e incaricato di troppi adempimenti, risulterebbero infatti gravosi gli ulteriori controlli necessari derivanti da una gestione con il corrispettivo calcolato in misura percentuale sugli incassi, con problematiche di rendicontazione periodica e corretta imputazione delle varie voci che compongono i versamenti ricevuti. Una gestione a canone fisso garantisce invece una semplificazione estrema dei rapporti, ampiamente motivata quando gli incassi attesi sono di importo ridotto.
Se pensiamo che nel nostro Paese ci sono 5.500 piccoli comuni con popolazione inferiore a 5mila abitanti e soprattutto ci sono quasi 2mila Comuni che contano meno di mille abitanti, la scelta di utilizzare la formula a canone fisso diventa prioritaria. Oggi per queste particolari realtà si apre tuttavia una nuova problematica: È ancora possibile mantenere questa forma contrattuale alla luce del dispositivo contenuto nel Dl 193/2016? Questo interrogativo si è aggiunto alle diverse questioni che stanno caratterizzando questo inizio di 2021. Non bastava infatti la necessità di istituire le nuove entrate, l'esigenza di rinegoziare il contratto con il concessionario per gli effetti della pandemia e decidere se affidare interamente o in modo frazionato il canone unico, è stata imposta anche l'organizzazione di un corretto modello di incasso delle proprie entrate.

Soluzioni per i piccoli Comuni
In questo quadro così complesso, almeno l'interrogativo circa la legittimità di un rapporto a canone fisso con il concessionario lo si può considerare superato. Ritenendo infatti che le somme incassate, pur nella potestà dell'ente, sono destinate a essere trattenute dallo stesso soggetto affidatario in forza del contratto sottoscritto, è corretto sostenere che questi introiti non debbano sottostare alla disciplina prevista dal Dl 193/2016. Linea interpretativa peraltro già tracciata da Ifel (nota 25 febbraio 2021) che ha ritenuto, in questi casi, come l'incasso operato dal concessionario non sia configurabile come maneggio e custodia di denaro pubblico. Di fatto, in caso di contratto a canone fisso, la riforma prevista per gli incassi degli enti locali, non deve modificare le modalità attuate dal concessionario, proprio perché trattasi di somme di sua spettanza diretta.
Si ritiene in estrema sintesi che, anche a seguito del mutato quadro normativo, sia salvaguardata quindi la possibilità di affidamento a canone fisso, tipico strumento usato dalle moltissime piccole realtà comunali. La delicatezza della questione rende necessario, tuttavia, un chiarimento ufficiale in materia.

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