Fisco e contabilità

Napoli, Torino, Roma, Palermo: città in crisi, rosso da 5 miliardi - Proroga bilanci al 28 febbraio

Boom degli investimenti comunali (+33% sul 2017) ma cresce il divario fra gli enti in salute e quelli in crisi

di Gianni Trovati

L’Italia dei Comuni arriva spaccata in due all’appuntamento del Pnrr. E il Piano, nonostante i suoi obiettivi esplicitamente intitolati alla «coesione», rischia di ampliare ulteriormente la distanza che separa la maggioranza dei municipi in buona salute dalla minoranza, ampia, di quelli in crisi strutturale.

Numeri e prospettive emergono chiare nella pioggia di dati messi sul tavolo ieri nella giornata di avvio della decima conferenza nazionale Ifel, la fondazione per la finanza e l’economia locale dell’Anci. La fotografia complessiva è quella di un comparto in salute, che archiviata la lunga stagione dei tagli ha riacceso la macchina degli investimenti, destinati secondo le stime preliminari a raggiungere a fine anno quota 11 miliardi, un livello del 33% superiore rispetto all’abisso del 2017 (e del 23% superiore all’anno scorso, almeno nel periodo gennaio-settembre). Non c’è viatico migliore per prepararsi alla corsa del Recovery, che per essere attuato chiede ai sindaci di fare un altro balzo del 45% negli investimenti da realizzare al ritmo di 16 miliardi all’anno.

Ma mai come nei Comuni i dati generali sono ingannevoli. Perché quando si va nel dettaglio la musica cambia. Lo dimostrano le cifre presentate ieri dalla Ragioneria generale sui conti delle città maggiori. In pratica, 9 dei 14 capoluoghi delle città metropolitane hanno i conti in rosso. E il disavanzo raggiunge le dimensioni di una voragine a Napoli, che con i sui 2,47 miliardi di deficit cumula da sola uno squilibrio pari alla somma cumulata dalle altre città messe peggio. Che comunque presentano numeri imponenti come gli 888,4 milioni di disavanzo a Torino, i 602 di Palermo, i 507 di Roma o i 339 di Reggio Calabria (che significano 1.938 euro ad abitante, livello superato solo dai 2.599 di Napoli mentre Torino si attesta a 1.036 euro e Palermo a 961). In pratica, le sei città più in difficoltà cumulano un buco da 5 miliardi.

L’eco di queste cifre è già arrivata a Palazzo Chigi e al Mef, dove infatti si prepara l’ennesimo salva-Napoli per la legge di bilancio dopo la scialuppa lanciata con 150 milioni di euro agli enti Sicilia (la metà è destinata a Palermo). In cottura, oltre al rinvio per tutti al 28 febbraio del termine per chiudere preventivi e delibere sui tributi, non c’è l’accollo statale del debito chiesto dal «Patto per Napoli» con cui Pd e M5S hanno convinto alla candidatura il neosindaco Gaetano Manfredi, che nelle prime settimane ha già minacciato dimissioni in caso di mancato intervento, ma un nuovo sostegno finanziario, esteso anche agli altri grandi enti in pre-dissesto, in cambio dell’ennesimo piano di rientro con tagli alle partecipate e rilancio della riscossione. Ma non ci sono miliardi. La sommma è ancora in discussione ma si parla di 150 milioni, che andrebbero a Napoli (85 milioni), Reggio Calabria (10), Palermo (24) e Torino (30) per tagliare il disavanzo. Il «Patto», come sempre, potrebbe chiedere in cambio misure su entrate, riscossione e tagli su spesa e partecipate. Del resto, non ci sono né i soldi né la possibilità pratica di tamponare a piè di lista un problema che supera di molto i confini delle città.

Perché i Comuni medio-piccoli non fanno notizia. Ma spiegano in modo ancora più preciso il problema delle due Italie municipali alle prese con il Pnrr. Il disavanzo è fenomeno quasi sconosciuto al Nord, dove riguarda il 3,5% dei Comuni in genere con numeri più che gestibili se si esclude l’eccezione torinese, mentre colpisce il 39% degli enti nel Mezzogiorno, con punte del 67% in Calabria, del 54% in Sicilia e del 49% in Campania. In questa geografia, il Lazio con il suo 47% di Comuni in rosso presenta una situazione pienamente meridionale.

Dati come questi mostrano il carattere strutturale di un problema di collasso amministrativo testimoniato e alimentato dall’incapacità di riscuotere le entrate, che ha gonfiato fino a 5 miliardi quest’anno il fondo bloccato nei Comuni a garanzia dei mancati incassi (pensato per evitare di far spendere risorse che non ci sono). È chiaro che macchine comunali così imballate sollevano incognite pesanti sulla possibilità di realizzare davvero gli investimenti del Pnrr. Al punto che il sindaco di Milano Beppe Sala ieri, nella tappa meneghina del tour governativo di presentazione del Pnrr, ha detto esplicitamente che il capoluogo lombardo «si candida a utilizzare i residui che ci saranno qualora ci siano realtà locali non in grado di garantire la possibilità di investire in tempi corretti».

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