Personale

Nella Pa doppia opzione per lo Smart Working e riunioni solo a distanza

Nel decreto legge sarà fissato un limite minimo del 50% o un target uguale per tutti del 70-75%

di Gianni Trovati

Il nuovo rafforzamento del lavoro agile nella Pubblica amministrazione punta al secondo decreto legge, quello che si occuperà anche della rimodulazione dei fondi per la Cassa integrazione Covid e imbarcherà lo stop alla riscossione fino al 31 dicembre salito sul primo decreto atteso oggi in Gazzetta Ufficiale.

L’esigenza di rinforzare le regole sullo smart working è stata confermata ieri anche dal lungo confronto fra il governo e gli enti territoriali per mettere a punto le nuove misure anti-Covid. E presidenti di Regione e sindaci hanno concordato che il tema, suggerito anche dal Comitato tecnico scientifico, è di quelli che ha bisogno di un indirizzo coordinato a livello nazionale.

Sul tavolo dei tecnici ci sono due ipotesi. Funzione pubblica preme per confermare nel decreto legge un tetto minimo che imponga alle amministrazioni di garantire il lavoro a distanza almeno al 50% del personale impegnato in attività che non richiedono necessariamente la presenza. Secondo questa impostazione, la divisione a metà fra lavoratori da casa e dipendenti sul posto sarebbe la base di partenza, che lascerebbe all’autonomia delle singole organizzazioni la scelta su quale percentuale (ovviamente superiore) di smart working raggiungere effettivamente, in base alle proprie esigenze e alla situazione organizzativa di ogni ente. L’alternativa è quella di fissare per tutti una percentuale più ambiziosa, fra il 70 e il 75 per cento.

La via del 50% si tradurrebbe nei fatti in un riordino delle regole che la frenetica attività normativa di questi mesi ha distribuito in modo non troppo felice fra leggi e decreti amministrativi. Il decreto Agosto indica il 50% come parametro di riferimento, che sarebbe poi destinato a salire al 60% il prossimo anno con l’avvio in ogni ente del «Piano organizzativo per il lavoro agile» (Pola). Un’evoluzione di questo tipo è stata pensata in estate, quando si era diffusa l’illusione che la pandemia avesse ormai allentato la morsa sul nostro Paese. Il percorso guardava quindi allo smart working come strumento di innovazione organizzativa più che come arma contro l’emergenza sanitaria.

Il cambio di scena arriva il 13 ottobre, quando il criterio del 50% si trasforma da indicazione di massima a obiettivo minimo con l’inserimento dell’avverbio «almeno». Ma avviene per Dpcm, nella formulazione confermata anche nel nuovo decreto di Palazzo Chigi che chiede anche alle Pa di prevedere le riunioni solo a distanza. Ma i Dpcm non possono modificare una norma primaria, dovendo semmai attuarla.

Di qui l’esigenza di un riordino che collochi su basi più solide una traiettoria del lavoro agile della Pa che promette di durare a lungo fino a diventare strutturale. Secondo un percorso tutto da costruire anche con i nuovi contratti, le cui trattative potranno ripartire dopo che con i 400 milioni in arrivo con la legge di bilancio si completa un maxi-fondo in grado di distribuire aumenti medi intorno ai 100 euro lordi al mese.

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