Niente risarcimento e compenso al revisore revocato
Con la sentenza n. 89/2020 il Tar Abruzzo ha respinto il ricorso di un revisore avverso la delibera di consiglio comunale con la quale era stato revocato per inadempienza (articolo 235 comma 2 del Tuel), nonché in ragione della mancanza di collaborazione con l'organo consiliare di cui è stata ostacolata e rallentata l'attività, oltre a motivi aggiunti culminati nella delibera del consiglio comunale per la nomina del nuovo revisore per presunta invalidità derivata. Con richiesta di condanna al risarcimento dei danni cagionati per lesione alla immagine professionale e per mancata percezione dei compensi. Un Comune che aveva già alle spalle le dimissioni volontarie, dopo due anni e mezzo di mandato, del precedente revisore, con ciò rimasto in fascia 1 dell'elenco nazionale.
I giudici amministrativi rilevano prioritariamente la legittimità della revoca, escludendo conseguentemente la sussistenza della illiceità del danno lamentato, sulla base del fatto che l'articolo 235 comma 2 del Tuel («Il revisore è revocabile solo per inadempienza ed in particolare per la mancata presentazione della relazione alla proposta di deliberazione consiliare del rendiconto entro il termine previsto dall'articolo 239, comma 1, lettera d)») recita un «generico» riferimento alla inadempienza dei propri doveri e poi contiene una specificazione tipizzata con riferimento alla proposta di rendiconto, sicché quest'ultima ipotesi si aggiunge alla inadempienza atipica e non è l'unica a consentire la revoca. Tanto perché il revisore ha consegnato nei termini la relazione al rendiconto, ma per sua stessa ammissione: non ha dato parere favorevole al contratto integrativo decentrato per l'anno 2017, non ha dato parere favorevole al Dup, ha controllato i cartellini delle presenze dei dipendenti (a causa di difformità tra le buste paga e i cartellini timbrati dal personale), ha effettuato un controllo sulla convenzione di segreteria comunale stipulata con altro ente (a causa di irregolarità nel pagamento di alcuni rimborsi di spese di viaggio), ha reso nei termini il parere sulle variazioni al bilancio preventivo 2018/2020 ma «condizionandolo» alla correzione di alcune voci in sede di consiglio comunale, ha espresso tardivo parere favorevole sulla approvazione di alcuni debiti fuori bilancio (a causa di integrazioni necessarie per poter valutare la convenienza e l'utilità delle spese da parte dell'ente).
Il contesto dimostra ai giudici del Tar più che altro la mancanza di «collaborazione con l'organo consiliare», di cui è stata ostacolata e rallentata l'attività. Peraltro per il Tar Lazio, sentenza 12733, basta la sussistenza e legittimità di una sola delle ragioni esposte a precluderne l'annullamento in sede giurisdizionale.
Inoltre, a parere della scrivente, occorre tenere a mente che «inadempiente» è anche il revisore che produca i pareri (favorevoli, sfavorevoli o condizionati che siano) non rispettando i «termini», anche mediante reiterate richieste di integrazioni, in quanto non specificatamente disciplinati nel Tuel oppure «ordinatori», ma che diventano «perentori» quando previsti dall'ente nel proprio regolamento di contabilità. Come è il caso ormai di moltissimi enti locali. Quindi una sana rilettura dei termini regolamentari si impone a ciascun revisore attento al proprio ruolo e alle proprie responsabilità. Ma in fondo i giudici non si sono soffermati troppo sul concetto di «inadempienza», poichè, senza necessità di giungere a valutare anche i termini regolamentari, i pareri «sofferti» erano stati comunque rilasciati. E l'«attività di collaborazione» con il Consiglio, prevista dall'articolo 239 comma 1 lettera a) alla fine vi era stata.
Il Revisore, nell'esercizio delle funzioni di controllo previste dall'articolo 239 comma 1 lettera c), funzionale alla resa del qualsivoglia parere di cui alla lettera b), commette violazione, (articolo 240 del Tuel), «sulla riservatezza sui fatti e documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio»: il revisore ha inviato la relazione sulle presenze del personale, contenente anche riferimenti alle presenze e assenze, anche per malattia, presso la Pec istituzionale dell'ente accessibile a tutti i dipendenti. Già il Tar Campania con la sentenza n. 5901/2017, oltre che l'autorità garante dei dati personali con parere del 13 settembre 2017, hanno giudicato violato il dovere di riservatezza, atteso che i dati relativi agli orari di lavoro, permessi e assenze per malattia (anche se epurati della descrizione del tipo di malattia) sono sottratti all'accesso civico generalizzato e come tali non sono pubblici ma riservati. Sebbene il revisore avesse oscurato i nominativi dei dipendenti lasciando visibile solo il numero di matricola, così facendo non ha neutralizzato del tutto il pericolo di individuazione dei titolari dei dati, e dunque la difesa dell'ente è riuscita a convincere il Tar sulla violazione del dovere di riservatezza previsto dall'articolo 240 del Tuel.
(*) Revisore enti locali e presidente della commissione enti territoriali Odcec-Bari