Appalti

Nuovo codice, da Anac «emendamento» per evidenziare il titolare effettivo delle imprese

Il presidente Busia in audizione in Senato risponde anche sulla possibilità di escludere le imprese per illeciti non definitivi: negli appalti legislazione speciale e standard di legalità elevati

di Mauro Salerno

«L'amministrazione pubblica deve conoscere i soggetti a cui affida risorse pubbliche». Per questo motivo l'Anac proporrà al Parlamento «un emendamento» al testo del nuovo codice appalti, mirato a rendere evidente da subito il nome del «titolare effettivo dell'impresa». Lo ha annunciato il presidente dell'Anac Giuseppe Busia, ascoltata questa mattina dalla commissione Ambiente e lavori pubblici del Senato sulla bozza del nuovo codice dei contratti pubblici. Busia, già ascoltato nei giorni scorsi sullo stesso tema alla Camera, al di là della apprezzamento generale sull'impostazione del provvedimento, ha ribadito le perplessità su alcuni passaggi chiave del decreto legislativo su cui le Camere dovranno pronunciarsi entro l'8 febbraio.

La richiesta di chiarire con precisione l'identità dei proprietari delle imprese è uno di questi. Ma non il solo. «Noi proponiamo l'evidenziazione del titolare effettivo dell'impresa. Chi partecipa alle gare, deve indicare chi è l'effettivo titolare dell'impresa, adeguandosi alla normativa antiriciclaggio», ha spiegato Busia che poi è tornato a battere sulla necessità di rivedere il capitolo dedicato al conflitto di interessi. Norme che il presidente dell'Anac considera «profondamente insoddisfacenti e in contrasto con le direttive europee e con l'ordinamento in generale che prevede norme stringenti, tanto più rilevanti nei contratti pubblici».

Busia ha ribadito poi il no all'innalzamento da 150mila euro a 500mila euro della soglia per le stazioni appaltanti qualificate. Per Busia «questo comporta un aumento delle gare approntate da soggetti non qualificati del 65%; sul totale degli affidamenti circa il 90% rimarrebbero affidati da soggetti non necessariamente in grado di comprare. Questo costa al sistema Paese, in termini di rapidità, di efficienza delle gare, di spesa pubblica. Noi chiediamo di riportare la soglia a 150.000 euro per la qualificazione». oppure di «graduare l'applicazione, ponendo l'obiettivo dei 150.000 euro, adottando inizialmente la soglia dei 500.000».

Sollecitato dalla domanda di un senatore Busia ha poi dedicato un passaggio alle norme sulle esclusioni delle gare. la questione ruota intorno alla compatibilità della norma del nuovo codice appalti che prevede l'esclusione delle imprese per illeciti professionali non definitivi, anche legati all'applicazione della responsabilità amministrativa delle società (Dlgs 231/2001), con le norme della riforma Cartabia che escludono conseguenze amministrative per i soggetti semplicemente indagati non ancora condannati. Sul punto Busia ha risposto che «di non voler entrare nel merito di singoli aspetti, che toccano alla Commissione», ma ha sottolineato che «la legislazione sugli appalti ha da sempre un carattere speciale e richiede alle imprese il rispetto della legalità con standard elevato». «Questo perché - ha aggiunto Busia - si tratta di rispettare un interesse generale. Chi viola le regole mentre contratta con la Pa non danneggia solo quell'amministrazione ma anche le imprese che si sono impegnate nel rispetto di tutte le regole e dunque alla fine questo danneggia la concorrenza».

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