Appalti

Nuovo codice, dai principi di risultato e di fiducia uno stimolo all'azione dei funzionari delle Pa

Focus in due puntate su una delle novità più discusse della bozza di nuovo codice: norme manifesto o misure destinate a incidere in concreto?

di Roberto Mangani

Lo schema del nuovo Codice dei contratti pubblici si apre con l'elencazione, negli articoli da 1 a 11, di alcuni principi generali che dovrebbero governare la materia. Si tratta di una novità, poiché nel D.lgs. 50/2016 non si trova un'elencazione analoga.

Nell'attuale Codice i principi generali della materia vengono elencati all'articolo 4, ma solo al fine di prevederne l'applicazione a quei contratti che restano fuori dall'ambito applicativo del Codice stesso. Ad essi viene quindi attribuita una funzione per alcuni aspetti residuale, nel senso che ne viene richiamata l'esistenza per una finalità ben specifica. L'intento del nuovo Codice è evidentemente diverso. I principi vengono elencati affinché costituiscano il punto di riferimento dell'intera materia dei contratti pubblici. Ma soprattutto, anche in questa logica, non vi è una mera elencazione di tali principi, ma ognuno di essi viene declinato in maniera più o meno articolata, cosicchè ne vengono resi espliciti i contenuti.

Inoltre, la novità risiede anche nella individuazione dei principi. Essi non si identificano con quelli tradizionalmente conosciuti – concorrenzialità, trasparenza, pubblicità, non discriminazione, imparzialità, efficacia, economicità – ma vengono rivisitati sulla base di criteri diversi. In particolare, l'indirizzo di fondo sembra essere quello di voler privilegiare la sostanza sulla forma, in una logica maggiormente attenta al raggiungimento del risultato che al rispetto della regola formale in sé considerata.

Rispetto a questo nuovo approccio, la prima questione che si pone è quale sia l'effettiva portata a livello applicativo dei principi enunciati e declinati. Detto altrimenti, si tratta di capire quanto gli stessi siano in grado di influire sull'interpretazione e sull'applicazione delle specifiche norme dettate negli articoli successivi e quanto invece, pur assolvendo alla funzione di delineare la cornice di tali norme, si risolvano in affermazioni di carattere generale con un limitato effetto pratico. Evidentemente si tratta di un'analisi che non è agevole operare in astratto e in via pregiudiziale. Solo la prassi applicativa della nuova disciplina potrà infatti fornire una risposta effettiva a questa questione. Tuttavia è possibile cominciare a svolgere fin da subito qualche riflessione, suddividendo l'analisi in due distinti articoli. Qui analizzaremo i principi di risultato, fiduce e accesso al mercato. In una seconda puntata gli altri principi inseriti alla base della bozza di nuovo codice.

I principi interpretativi e gli altri principi
La prima notazione riguarda il rilievo differenziato che viene attribuito ai principi indicati agli articoli 1, 2 e 3 – il principio del risultato, quello della fiducia e quello dell'accesso al mercato – rispetto agli altri principi di cui agli articoli successivi. L'articolo 4 contiene una disposizione che definisce una linea di demarcazione tra i primi tre principi e tutti gli altri. Viene infatti previsto che solo i principi di cui agli articoli 1, 2 e 3 costituiscono criteri di interpretazione e di applicazione delle disposizioni del Codice. In realtà non è agevole comprendere la ratio di questa previsione limitativa. In termini concettuali, ogni principio di diritto relativo a un determinato settore dovrebbe costituire la chiave interpretativa delle specifiche norme di quel settore, orientandone la lettura e l'applicazione. Non è quindi agevole capire da un lato la ragione per cui nel nuovo Codice alcuni principi sembrano avere una dignità maggiore rispetto ad altri; dall'altro, quale funzione possano concretamente assumere gli altri principi, cui non viene riconosciuta uguale valore ai fini dell'applicazione e dell'interpretazione delle relative disposizioni di dettaglio.

In realtà un principio non può che svolgere – proprio perché tale – una funzione di interpretazione delle norme affinchè la loro applicazione sia orientata al pieno rispetto del principio stesso. Ne consegue che definire una scala di valori tra i principi – secondo cui solo alcuni hanno valore interpretativo e applicativo delle singole disposizioni – significa sminuire la funzione dei principi cui non viene riconosciuto tale valore, minandone la stessa ragion d'essere. Ciò detto, vediamo come vengono declinati i principi di cui agli articoli 1, 2 e 3.

Principio del risultato
Il principio – contenuto nell'articolo 1 - è rivolto essenzialmente agli enti committenti (stazioni appaltanti e enti concedenti) e riguarda l'iter complessivo del contratto, cioè sia la fase di affidamento che quella di esecuzione. Nello specifico il principio del risultato viene estrinsecato in due declinazioni principali: la massima tempestività e il miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo (comma 1). A queste due direttrici sono funzionali gli altri elementi indicati dalla norma: la concorrenza tra gli operatori economici che è funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell'affidamento e nell'esecuzione dei contratti; la trasparenza che è funzionale alla massima semplicità e celerità nell'applicazione delle singole disposizioni del Codice (comma 2).

Fino a qui i contenuti del principio del risultato appaiono sostanzialmente come una sorta di "manifesto programmatico". Se in maniera un po' semplicistica si volessero tradurre in concreto, l'indicazione che se ne ricava è che le gare e la successiva esecuzione del contratto vanno concluse nel più breve tempo possibile, che si deve premiare la migliore offerta tenendo presente sia il profilo economico che qualitativo, che la concorrenza deve essere finalizzata alla scelta del miglior contraente. Pur senza voler banalizzare, sembrano enunciazioni programmatiche che ribadiscono concetti tradizionalmente acquisiti.

Più significativa è invece la previsione del comma 4. Essa stabilisce che il principio del risultato è il criterio prioritario da utilizzare relativamente a due specifici ambiti. Il primo è l'esercizio del potere discrezionale e l'individuazione della regola del caso concreto. Sotto questo profilo la lettura che può essere data è che laddove vi siano ambiti di discrezionalità in cui muoversi – ipotesi quasi ordinaria nell'attività degli enti committenti – questi ultimi devono ispirare le loro scelte più al raggiungimento del risultato sostanziale che a una lettura meramente formale della norma da applicare.

Il secondo ambito è quello relativo al personale degli enti appaltanti che svolgono la loro attività nell'intero iter dell'appalto pubblico (programmazione, progettazione, affidamento e esecuzione). Per questa attività il principio del risultato è criterio prioritario sotto due profili: ai fini della valutazione delle loro responsabilità – e questa indicazione va letta in coordinamento con quanto si dirà in relazione al successivo principio della fiducia – e ai fini dell'attribuzione degli incentivi previsti dalla contrattazione collettiva.

La declinazione del principio del risultato contenuta nel comma 4 appare quindi destinata a incidere maggiormente sui comportamenti concreti degli enti appaltanti, in una logica che vuole privilegiare l'esercizio della discrezionalità ai fini del raggiungimento degli obiettivi sostanziali dell'azione amministrativa.

Il principio della fiducia
La declinazione di questo principio è contenuta all'articolo 2. Il comma 1 richiama il principio come ispiratore della reciproca condotta degli enti appaltanti e degli operatori economici. Il comma 2 lo individua come finalizzato a favorire e valorizzare l'iniziativa e l'autonomia decisionale dei funzionari pubblici, in combinato con il principio del risultato. Queste due previsioni sembrano rientrare anch'esse in un "manifesto programmatico", che assume più che altro il valore di una dichiarazione d'intenti.

Di maggiore interesse la previsione del comma 3. Essa delimita in senso restrittivo l'ambito della responsabilità amministrativa/erariale dei funzionari pubblici, sotto un duplice profilo. Da un lato circoscrive la colpa grave esclusivamente alla violazione di norme di diritto e degli autovincoli amministrativi, nonché alla palese violazione di regole di prudenza, perizia e diligenza o all'omissione delle cautele, verifiche e informative preventive ordinariamente richieste per l'attività amministrativa. Dall'altro esclude comunque la colpa grave in quei casi in cui il funzionario abbia comunque fatto riferimento a indirizzi giurisprudenziali prevalenti o a pareri delle autorità competenti.

L'intento della previsione è chiaro. Sottrarre alle ipotesi di colpa grave – e quindi alla responsabilità erariale, che non opera nel caso di colpa lieve - tutti quei comportamenti che non sono palesemente ascrivibili a violazioni di norme o a regole di ordinaria cautela. È evidente – ma non poteva essere altrimenti – che la previsione mantiene significativi margini di interpretazione discrezionale su ciò che può essere considerato palese violazione e ciò che invece non lo è. Tuttavia, tanto per fare un esempio, il funzionario pubblico che si sia conformato nella sua azione a un parere rilasciato dall'Anac non incorre in colpa grave e quindi è esente dalla relativa responsabilità erariale. In ogni caso, al di là degli esempi specifici, l'intento è evidentemente quello di dare un segnale per attenuare i timori – più o meno giustificati a seconda dei casi - che spesso frenano l'attività amministrativa dei funzionari pubblici, per i quali l'azione di responsabilità erariale costituisce una preoccupazione costante.

Il principio dell'accesso al mercato
Questo principio è sancito dall'articolo 3. Viene previsto che gli enti committenti favoriscono l'accesso al mercato degli operatori economici nel rispetto dei principi di concorrenza, di imparzialità e non discriminazione, di pubblicità e trasparenza e di proporzionalità. Tra i tre principi è quello che appare meno incisivo, risolvendosi in una elencazione – in funzione dell'accesso al mercato – di altri principi che da sempre governano il settore dei contratti pubblici, e che non introducono alcun elemento innovativo rispetto al quadro normativo vigente.

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