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Opzione donna, trattativa finale su 58 anni con paletti

In vista della riforma, per il pensionamento delle lavoratrici si valuta l’anticipo generalizzato dell’uscita di quattro mesi per ogni figlio

di Giorgio Pogliotti e Marco Rogari

La decisione finale del governo arriverà il 14 febbraio o, al più tardi, il 15. E sarà comunicata in tempo reale ai sindacati. Che nel primo round tecnico di lunedì 13, in cui sono stati affrontati i primi capitoli di una possibile riforma delle pensioni, sono tornati a chiedere con forza una proroga secca dei requisiti di Opzione donna in vigore nel 2022: 58 anni (59 per le lavoratrici autonome) e 35 anni di versamenti, con il ricalcolo contributivo dell’assegno. Dal sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon, è arrivato per conto dell’esecutivo solo l’impegno ad allentare la stretta introdotta dall’ultima legge di Bilancio e a verificare con il Mef gli spazi finanziari utilizzabili per le modifiche. Spazi che dovrebbero consentire di tornare soltanto in parte allo “schema” dello scorso anno. Tanto è vero che ieri pomeriggio i tecnici del governo continuavano a considerare molto probabile l’ok all’ipotesi anticipata dal Sole 24 Ore l’11 febbraio: un ritorno al requisito anagrafico dei 58 anni ma con una serie di “paletti” per limitare la platea ad alcune categorie, come in legge di Bilancio (caregiver, licenziate).

Si partirebbe dalle categorie già indicate nella versione di Opzione donna prevista dalla manovra-Meloni, aggiungendone altre considerate particolarmente penalizzate. Questo correttivo verrebbe inserito in uno dei primi decreti legge in rampa di lancio (forse addirittura in quello sul Pnrr atteso al prossimo Consiglio dei ministri), o con un emendamento a uno dei Dl che devono essere convertiti in legge dal Parlamento.

Resta da capire di quanto si ridurrà la platea rispetto a quella che lo scorso anno ha utilizzato Opzione donna (quasi 24mila le richieste liquidate dall’Inps). E da questo dipenderà anche il giudizio dei sindacati che, nell’incontro di ieri, guardando alla riforma che verrà, hanno rilanciato la proposta di garantire alle lavoratrici madri un anno di anticipo del pensionamento per ogni figlio. Dal governo è arrivata la disponibilità a valutare questo intervento, ma limitandolo magari a 4 mesi di anticipo (per un costo annuo di circa 700 milioni), anche per evitare ricadute pesanti sui conti pubblici. L’esecutivo ha anche aperto alla possibilità di studiare un’integrazione al minimo per i giovani con carriere discontinue per introdurre una sorta di “garanzia” previdenziale e di eliminare il vincolo di 1,5 volte l’assegno sociale con cui devono fare i conti i lavoratori e, soprattutto, le lavoratrici che hanno avuto il primo impiego dopo il 1995 (interamente contributivi) per accedere alla pensione di vecchiaia. «Tavolo deludente, non abbiamo avuto risposte a partire dal ripristino di Opzione donna», ha commentato alla fine dell’incontro Christian Ferrari (Cgil).«Apprezziamo il fatto che il ministero riconosca che l’opzione donna come uscita nell’ultima manovra debba essere rettificata per ripristinare una misura più equilibrata - ha aggiunto Ignazio Ganga (Cisl) -, siamo in attesa di un riscontro più dettagliato che risponda alle aspettative sindacali». Per il leader Uil Pierpaolo Bombardieri con il ripristino di Opzione donna, come previsto prima della legge di Bilancio, «a fronte di un aumento di spesa per i primi 5 anni ci sarebbe poi un guadagno per le casse dello Stato considerato che le donne perdono il 30% della retribuzione».

Peraltro, è stata anche pubblicata la circolare Inps: a marzo per i redditi da pensione superiori a 2.101,52 euro (quattro volte il minimo) sarà riconosciuta la rivalutazione all’inflazione in base alle percentuali inserite nell’ultima manovra, insieme agli arretrati. Per i redditi da pensione fino a quattro volte il minimo a gennaio l’assegno è stato rivalutato del 7,3%. Per i redditi tra le quattro e le cinque volte il minimo la rivalutazione sarà del 6,205% (pari all’85% del 7,3%), tra le cinque e le sei volte il minimo (da 2.626,91 a 3.152,28 euro) avrà una rivalutazione del 3,869 (il 53% dell’inflazione).

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