Il CommentoAmministratori

Pa, la cultura della valutazione come spinta al miglioramento

di Raffaele Picaro e Marco Spiniello (*)

ello scenario ricostruttivo che emerge dall’inquadramento del reale, non è revocabile in dubbio che i processi valutativi della performance, soprattutto nel cono d’ombra che si intreccia con la questione della partecipazione dei cittadini e degli utenti, siano tuttora avvertiti dalla pubblica amministrazione non come un meccanismo preordinato a conoscere e migliorare le prestazioni erogate, in funzione della necessità di assicurare il concreto benessere dei destinatari delle stesse, ma come un passaggio adempimentale obbligato per distribuire i premi ai loro dipendenti. Ne deriva che il coinvolgimento dei cittadini nella valutazione della performance della P.A. si rivela come uno dei temi di più difficile approccio, anche in ragione dell’alto livello di autoreferenzialità che la connota. Prova ne è che, nonostante la stratificazione normativa ed il varo di Linee guida da parte del Dipartimento della Funzione Pubblica che ne sostengono l’introduzione, la questione, anche nelle Amministrazioni Centrali dello Stato, risente ancora di una latente sperimentazione.

Il punto è che con la valutazione partecipativa, i cittadini e gli utenti cessano di essere ambito di indagine, per divenire essi stessi coautori della valutazione come della progettazione degli obiettivi. Fondamentale nella composizione caleidoscopica del tema è il ruolo degli stakeholder, dei cosiddetti portatori di interessi dell’amministrazione che, evidentemente, non sono tutti uguali, poiché ognuno ha un peso diverso, di maggior o minor rilievo, e conseguentemente anche la loro incidenza nella valutazione, al pari della progettazione, non dovrebbe essere la stessa. La scelta, peraltro, non può certamente incentrarsi su quelli più vicini all’amministrazione. Infatti uno degli obiettivi della valutazione partecipativa è proprio quello della composizione dei conflitti e delle divergenze con la comunità sociale.

Vi sono poi, nell’introduzione della valutazione partecipativa, alcuni fattori che possono facilitarne il suo svolgimento: in primo luogo il commitment politico che contribuisce non poco a promuovere ed implementare il suo sviluppo. Altro fattore di rilievo è l’esistenza in seno all’amministrazione di mappature preesistenti, come quelle degli stessi stakeholder, dei processi, di questionari di customer satisfaction, di esperienze di benchmarking, di performance management, di competenze professionali idonee ed adeguate all’impegno da svolgere nonché la disponibilità di risorse materiali e immateriali.

Ma vediamo quali sono le ragioni per cui la valutazione partecipata non ha fino ad ora avuto i risultati sperati. Certamente milita in tale direzione una scarsa cultura della valutazione, ancora oggi vissuta nelle amministrazioni pubbliche come un istituto meramente burocratico, finalizzato alla erogazione dei soli trattamenti accessori ai dipendenti collegati alla premialità, invece che come uno strumento di miglioramento dei processi produttivi. Vi è poi un innato timore per la partecipazione dei cittadini e degli utenti nel processo valutativo: i cittadini e gli utenti finali sono avvertiti come una “minaccia” al processo di valutazione, potendone condizionare l’esito finale con ricadute sui predetti trattamenti economici, e non solo. Il vertice politico, inoltre, è stato fino ad oggi poco incline alla diffusione di una vera cultura della valutazione, intesa come strumento di miglioramento, ed a volte teme il giudizio dei cittadini sui servizi erogati dalla pubblica amministrazione. Contribuisce ad alimentare l’asserita precarietà di approccio al tema, anche la circostanza che, pur nelle meritevoli, quanto rare, indicazioni normative e di prassi rinvenibili in materia, il coinvolgimento dei cittadini e degli utenti avviene quasi sempre nella fase finale del ciclo della performance, senza ricadute, se non indirette e mediate, nella fase della pianificazione e, dunque, all’atto della determinazione degli obiettivi da perseguire.

Resta, in ultimo, da considerare la patologica complessità dei processi amministrativi, che non favorisce certamente la loro mappatura né una consapevole perimetrazione degli stakeholder.

Insomma, il cammino è ancora in salita. Ne rappresenta un’icastica testimonianza la prudenza con cui il Dipartimento della Funzione Pubblica, da tempo promotore di un simile approccio, tende ad accostarsi alla sua implementazione in concreto.

Eppure alcune misure potrebbero essere oggetto di immediata adozione. In primo luogo, assumere iniziative tese ad introdurre la valutazione della performance organizzativa dell’amministrazione nel suo complesso, attribuendo un peso significativamente rilevante alla valutazione dei cittadini e degli utenti; associare alla valutazione di questa dimensione della performance (organizzativa) il 50% dei premi di produttività; stabilire che la dimensione della performance organizzativa sia valutabile segnatamente con riferimento al valore pubblico prodotto e non ai soli obiettivi interni realizzati; obbligare gli Organismi indipendenti di valutazione della performance a rendere la prescritta “validazione” della Relazione della performance, quale momento propedeutico necessario alla distribuzione dei trattamenti economici accessori, esclusivamente in presenza di un evidente e diffuso coinvolgimento dei cittadini e degli utenti, tanto nel processo valutativo quanto nella fase di pianificazione.