Personale

Pa al femminile ma non tra i dirigenti, arrivano le Linee guida per la parità

Le donne sono il 58% dei dipendenti pubblici ma si fermano al 38% nella dirigenza amministrativa. Nei nuovi indirizzi dei ministri Brunetta e Bonetti le istruzioni per rimediare

di Gianni Trovati

C’è bisogno delle nuove Linee guida sulla parità di genere in una Pubblica amministrazione che si è progressivamente femminilizzata fino a essere composta da donne per il 58,2% del proprio personale? La risposta è «sì». E per trovarla è sufficiente andare un poco più a fondo rispetto al grezzo dato complessivo.

Perché se ci si avvia per un viaggio lungo le scale della gerarchia organizzativa degli uffici pubblici si è circondati da donne nel livello di partenza, fra il personale non dirigente. Ma quando si sale dalle parti della dirigenza amministrativa la percentuale femminile scende al 38%, e si assottiglia ancora se si entra nella riserva della dirigenza di prima fascia. C’è un problema, insomma: che mescola cultura organizzativa, distribuzione delle opportunità e strumenti di conciliazione fra lavoro e vita privata e famigliare.

Proprio per questo le Linee guida elaborate in tandem dal ministro per la Pa Renato Brunetta e dalla sua collega alle Pari opportunità e Famiglia Elena Bonetti sono intitolate alla «parità di genere nell’organizzazione e gestione del rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni». Perché non è una banale questione di quote rosa; ma un tema trasversale che interessa tutte le leve della macchina organizzativa pubblica. «Vogliamo offrire indicazioni concrete e percorribili per una migliore organizzazione lavorativa, perché pari opportunità di genere significano reali opportunità per il Paese». «Si tratta - aggiunge Elena Bonetti - di un altro tassello di quel percorso che abbiamo voluto promuovere nel Pnrr, dove la parità è asse traversale del Piano».

La cornice in cui si inquadrano i nuovi indirizzi targati Bonetti-Brunetta è quella del Pnrr, che fra i divari da colmare con il doppio programma di investimenti e riforme annovera anche quello di genere. In questa chiave gli obiettivi generali sono fissati dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-26: ridurre di almeno 3 punti la distanza fra i tassi di occupazione maschile e femminile, che ancora oggi viaggia a un 27% che non ha paragoni nelle economie più avanzate dell'Unione, stringere di oltre due punti il divario fra donne con e senza figli (oggi è 12 punti contro i 9-9,5 della media Ue) e portare a un 30% europeo dall’attuale 22% italiano la quota delle imprese femminili. I primi due obiettivi intervengono direttamente sulle modalità d’azione dei datori di lavoro. E la pubblica amministrazione con i suoi 3,1 milioni di dipendenti è il più grande datore di lavoro italiano.

Per questa ragione le 23 pagine delle nuove Linee guida, dopo l’analisi del contesto, scelgono la strada pragmatica delle indicazioni che ogni amministrazione pubblica è chiamata a seguire nella gestione del reclutamento e nell’organizzazione di chi è già negli organici. L’azione concreta deve partire da una “check list della parità di genere”, che misura la rappresentatività attuale negli uffici, valuta le procedure di selezione per i nuovi ingressi, e misura la cultura manageriale di genere messa in atto fin qui, l’organizzazione e la trasparenza interna sulle scelte. Definite le premesse, si individuano una serie di “raccomandazioni” che sono accomunate dal filo rosso della responsabilità soggettiva richiesta ai singoli enti. Perché da evitare c’è prima di tutto un rischio che ricorre con frequenza elevatissima nelle nostre pubbliche amministrazioni: quello di un’applicazione formal-burocratica di norme e indirizzi che finisce per sortire effetti contrari a quelli sperati, senza che nessuno se ne interessi o peggio se ne accorga.

Per questo si chiede, in particolare a chi ha funzioni dirigenziali, di «identificare e rimuovere preventivamente condizioni che impattano indirettamente sugli effetti potenziali delle misure proposte», e di «evitare clausole che – pur efficaci in sé – sono di difficile attuazione o rischiano di avere effetti solo formali o di rivelarsi un boomerang», e di non trattare le questioni di genere come «un argomento isolato», senza «sottovalutare l’importanza di una comunicazione chiara e della trasparenza per coinvolgere i dipendenti in azioni positive». Soprattutto, è indispensabile analizzare il problema con occhi sinceri, evitando «il riconoscimento insufficiente dei pregiudizi di genere nei processi di reclutamento e assunzione». E il boomerang si può nascondere, spiegano le Linee guida, anche dove non te li aspetti: per esempio nel lavoro agile, che è un ottimo strumento di conciliazione fra vita e lavoro ma può diventare anche un meccanismo discriminatorio se concesso solo alle donne, come del resto è già successo al part time. Per questo nel Piao, il piano unico di attività e organizzazione che sostituisce e ingloba i vecchi atti di programmazione le Pa dovrebbero indicare anche le percentuali di genere dei dipendenti in Smart Working, tempo parziale e titolari di permessi ex legge 104 e il numero di giorni di congedo parentale utilizzati all’anno dai dipendenti maschi e dalle loro colleghe.

Passa dall’attuazione sostanziale di questi indirizzi anche il rispetto delle tante norme inserite nella riforma a tappe (forzate) del pubblico impiego per il Pnrr. In una linea che parte dal decreto del 2021 sul reclutamento (Dl 80/2021, dove per esempio si fissano regole sulla parità di genere nelle commissioni d’esame e negli inviti ai colloqui per gli incarichi esterni sui progetti Pnrr) e arriva alla riforma dei concorsi avviata dall’ultimo consiglio dei ministri, nel Dpr che chiede a ogni ente di indicare nei bandi l'attuale rappresentatività di genere, prevedere la condizione di preferenza per quello meno rappresentato quando la distanza è superiore al 30% e assicurare la partecipazione alle candidate che per ragioni di gravidanza o allattamento non possono seguire il calendario delle prove.

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