Personale

Pa, illegittima la richiesta di restituzione dello stipendio indebitamente riconosciuto ai dipendenti a troppa distanza dall'erogazione

La precisazione nella sentenza del Consiglio di Stato n. 5014/2021

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di Dario Immordino

È illegittima la richiesta di restituzione del trattamento economico corrisposto indebitamente al dipendente pubblico proposta a considerevole distanza di tempo dalla erogazione delle somme, qualora l'esborso non dovuto sia imputabile ad un errore interpretativo (non un mero errore di calcolo) attribuibile in via esclusiva alla Amministrazione, gli emolumenti siano stati erogato per remunerare l'attività ordinaria del dipendente e non una prestazione effettuata una tantum e "isolata", e non siano stati corrisposti con l'esplicita indicazione della riserva di ripetizione.

In simili circostanze il tentativo di recuperare le somme indebitamente corrisposte viola il principio di proporzionalità previsto dall'art. 1 del Protocollo alla Convenzione Edu, e pertanto l'esborso non dovuto resta a carico del bilancio pubblico, ferma restando, ovviamente, l'eventuale responsabilità erariale dell'autore dell'errore.

Lo ha statuito il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5014/2021 sull'assunto che la disciplina dei pagamenti stipendiali effettuati mediante sistemi automatizzati, di cui all'art. 9, l. n. 428 del 1985, in combinato disposto con l'art. 5, comma 4, del Dpr n. 429 del 1986 prevede la possibilità di "ricalcolare" le somme liquidate «entro il termine di un anno dalle relative lavorazioni)». Di conseguenza i versamenti hanno natura provvisoria e sono sottoposti ope legis alla clausola di riserva di ripetizione solo entro il termine di un anno, motivo per cui solo entro detto preciso limite temporale le amministrazioni possono richiedere la restituzione dei compensi indebitamente erogati senza che possa essere attribuito alcun rilievo allo stato soggettivo del percipiente e al relativo affidamento. Tale disciplina costituisce il ricercato punto di equilibrio fra le esigenze di certezza del lavoratore sulla propria consistenza stipendiale e il potere/dovere dell'amministrazione di presidiare l'interesse pubblico all'irrinunciabile principio di buon andamento della Pa.

La corresponsione di emolumenti non previsti o in misure differente da quella pattuita, infatti, esorbita dal principio di corrispettività e proporzionalità delle reciproche obbligazioni delle parti del rapporto di lavoro e legittima la ripetizione delle somme indebitamente corrisposte, con il limite della tutela della buona fede e dell'affidamento della parte destinataria delle somme. Quando si tratta di denaro pubblico la domanda di ripetizione di somme corrisposte sine titulo a favore di dipendente punnlico è atto di autotutela dovuto, e non richiede neppure specifica motivazione poiché l'interesse pubblico è inre ipsa, ed anzi il mancato recupero configura danno erariale. La doverosità ed inderogabilità dell'attività di autotutela pubblica escludono la rilevanza della buona fede del dipendente che ha percepito le risorse pubbliche.

Di conseguenza la circostanza che l'indebita erogazione delle somme sia imputabile esclusivamente alla Pa . comporta come unico effetto che il beneficiario non sia tenuto alla restituzione dei frutti e degli interessi (v. anche Cons. Stato, A.P., 17 ottobre 2017, n. 8).Per il resto l'unico limite al recupero delle somme indebitamente corrisposte è costituito dalla regola per cui le modalità di ripetizione non devono essere eccessivamente onerose, in relazione alle esigenze di vita del debitore. Tale regime normativo discende dalla supremazia dell'interesse pubblico, inteso non come superiorità a prescindere delle esigenze della Pa, ma piuttosto quale necessaria prevalenza delle ragioni della collettività, ed è stato progressivamente adattato alla evoluzione della concezione di Stato e dei rapporti tra autorità pubbliche e cittadini che ha improntato la disciplina dell'attività amministrativa e del pubblico impiego.In ragione di questa travagliata evoluzione la prevalenza dell'interesse finanziario pubblico rispetto alle posizioni giuridiche individuali è stata configurata come principio valido in termini generali, che tuttavia non è suscettibile di applicazione in via automatica, generalizzata e indifferenziata.

Su questo consolidato assetto normativo e giurisprudenziale si è innestata la recente pronuncia della Cedu (sentenza 11 febbraio 2021, n. 4893/2013, Casarin contro Italia), che ha identificato l'estensione e i confini della rilevanza della buona fede del percipiente di somme indebitamente corrisposte dalle amministrazioni pubbliche in relazione all'articolo 1 del Protocollo n. 1 addizionale alla Convenzione, che appresta specifica tutela del diritto di proprietà individuale. Al riguardo la Corte ha evidenziato che l'equilibrio tra la tutela del diritto di proprietà individuale e la salvaguardia dell'interesse pubblico deve essere individuato nel principio di proporzionalità, in forza del quale gli atti espressivi dell'interesse pubblico deve risultare ragionevolmente proporzionata rispetto al fine che il legislatore intende realizzare. Il giusto equilibrio tra mezzo e fini è violato se la persona interessata sopporta un onere individuale eccessivo (nella cui valutazione la Corte è piuttosto severa).

In applicazione di tale principio deve ritenersi che l'erogazione di emolumenti aventi carattere retributivo non occasionale, e dunque corrisposti da una pubblica amministrazione in modo costante e duraturo, senza riserve esplicite ingenera il legittimo affidamento nel dipendente sulla spettanza delle somme, motivo per cui le somme indebitamente corrisposte non possono essere ripetute, in quanto la loro ripetizione (benché dovuta ai sensi delle diposizioni nazionali, essendo stato indebitamente corrisposto) comporterebbe la violazione. Con riferimento, invece, a voci stipendiali a carattere sporadico, quale, ad esempio, la remunerazione del lavoro straordinario, "connotato ontologicamente da estemporaneità, si potrebbe eventualmente giustificare, tenuto conto della sua natura occasionale e isolata, un errore da parte delle autorità per quanto riguarda l'importo da riconoscere agli interessati".In tale contesto la disciplina sui pagamenti automatizzati sposta l'equilibrio tra interesse pubblico e tutela della buona fede a favore delle esigenze della p.A. introducendo un ulteriore elemento rilevante nel bilanciamento degli interessi: la limitazione temporale della autotutela pubblica.L'art. 9, l. n. 428 del 1985, in combinato disposto con l'art. 5, comma 4, d.P.R. n. 429 del 1986 consente, infatti, l'apposizione di una generalizzata riserva di ripetizione che consente alle pp.AA. di recuperare le somme indebitamente corrisposte nell'ambito dei rapporti di pubblico impiego a prescindere dalla buona fede del percettore, purché nei limiti temporali prestabiliti (1 anno).

Al riguardo il Consiglio di Stato rileva che tali disposizioni normative, nonostante consentano l'esercizio dello ius poenitendi da parte dell'amministrazione senza tener conto del legittimo affidamento del beneficiario, devono ritenersi compatibili con l'art. 1 del Protocollo alla Convenzione, in virtù della oggettiva provvisorietà della riserva di ripetizione e della precisa circoscrizione temporale dell'esercizio dell'autotutela pubblica.

Secondo la sentenza «proprio la previsione di tali limiti temporali costituisce il ricercato punto di equilibrio fra le esigenze di certezza delle proprie risorse da parte del dipendente pubblico e quelle di presidio dell'interesse pubblico».

Il meccanismo della possibilità di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte entro il limite di un anno, costituisce, peraltro, l'adattamento dei principi e delle regole sul bilanciamento tra interessi pubblici e privati al procedimento meccanizzato, «connotato da maggiore celerità operativa, da parte dell'amministrazione. Il legislatore, cioè, facendosi carico delle conseguenze giuridiche dell'affidamento della gestione delle erogazioni stipendiali a sistemi automatizzati, in qualche modo anticipando i futuri e particolarmente attuali dibattiti sull'intelligenza artificiale e le conseguenze in termini di responsabilità di eventuali distorsioni applicative ascrivibili alla macchina, ha cautelativamente disciplinato le conseguenze delle correzioni dei relativi esiti, onerando l'operatore, tuttavia, di effettuare i controlli entro un termine ragionevole fissato in un anno».

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