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Pa, nei nuovi concorsi valutazioni obbligatorie solo sui titoli di studio

L'esame sull'«esperienza» sarà un'opzione degli enti come accade anche oggi

di Gianni Trovati

Nei nuovi concorsi pubblici ripensati dalla riforma avviata con il decreto Covid la «fase di valutazione dei titoli» obbligatoria riguarderà i titoli di studio. L’esame di quelli «di esperienza», legati al curriculum lavorativo dei candidati, sarà una possibilità offerta alle amministrazioni, come accade già oggi. Tutti i chiarimenti sui nuovi concorsi arriveranno nei prossimi giorni da una circolare che la Funzione pubblica sta ultimando.

Sulla riforma delle selezioni introdotta dal ministro della Pa Renato Brunetta nell’ultimo decreto Covid (articolo 10 del Dl 44/2021) per sbloccare le selezioni impantanate nell’emergenza sanitaria e costruire una corsia veloce per quelle future il dibattito si è acceso in fretta. E si è concentrato sulla valutazione dei titoli: perché dare più peso al curriculum, è la critica arrivata da parte della sinistra e da alcuni comitati, rischia di determinare un’esclusione a priori per i giovani. «Io invece voglio riportare i giovani al centro della Pa», ha ribattuto Brunetta in un’editoriale sull’Huffington Post.

Opinioni a parte, il primo punto da chiarire è sull’oggetto della valutazione. La norma, come spiegherà la circolare in cantiere, si riferisce a quelli di studio in quanto parla di «titoli regolarmente riconosciuti». I «titoli e l’eventuale esperienza professionale, inclusi i titoli di servizio» invece «possono concorrere alla formazione del punteggio finale». Lo deciderà l’amministrazione, come già accade ora, in base alla tipologia di profili che sta cercando. Perché anche senza arrivare ai livelli dirigenziali, se per esempio il ministero della Giustizia fa un bando per «cancellieri esperti» ne deve poter valutare, appunto, anche l’esperienza. L’importante, come ribadiranno le istruzioni in arrivo da Palazzo Vidoni, è mantenere la proporzionalità fra i parametri di valutazione e la tipologia professionale al centro del concorso. Anche perché senza questo criterio il ricorso, e la sconfitta in giudizio, sono quasi certi.

Prova scritta con strumenti digitali, prova orale possibile anche in videoconferenza e valutazione dei titoli di studio saranno i tre pilastri dei nuovi concorsi a regime. Le Pa potranno introdurre quest’ultimo passaggio anche nei concorsi già banditi, ma solo nel caso non sia stata svolta «alcuna attività» nella selezione. Anche sul punto dovrà intervenire la circolare, per chiarire quali sono i casi di assenza di attività che aprono le porte a questa opzione: che, comunque, imporrà agli enti di «darne tempestiva comunicazione» ai candidati, riaprendo i termini di partecipazione.

A far crescere l’allarme è intervenuto poi il fatto che la valutazione dell’esperienza è fra i parametri che guidano la selezione dei 2.800 nuovi ingressi per gli enti del Sud, prima prova concreta dei concorsi «modello Brunetta». Ma qui la scelta si spiega con l’obiettivo di individuare tecnici subito operativi nella gestione dei fondi comunitari. E non sembra aver scoraggiato troppo i più giovani, visto che il 32,8% delle prime 19mila candidature arriva da under 30.

Il nuovo impianto dei concorsi punta prima di tutto a ridurre a pochi mesi le attese spesso pluriennali che fin qui hanno separato i bandi dalle assunzioni. Mossa indispensabile per accelerare sul turn over in una Pa che, come ha ribadito ieri Brunetta parlando all’evento «Italia 2021» organizzato da PwC, ha bisogno di 150mila nuovi ingressi all’anno. Nel suo intervento il titolare di Palazzo Vidoni è tornato a sottolineare l’esigenza di legare lo smart working allo sviluppo dell’efficienza nei servizi, superando le «varie percentuali minime» ora previste dalla legge. La sua riflessione ha acceso un piccolo botta e risposta con Fabiana Dadone, ministra della Pa nel Conte-2, che ha bollato come «bugia dire che attualmente lo smart working è vincolato a percentuali». Al momento le percentuali sono quelle previste dall’articolo 263, comma 4-bis del Dl 34/2020, e chiedono di garantire l’opzione per il lavoro agile ad almeno il 60% dei dipendenti impegnati in attività che non impongano la presenza. Ma saranno superate.

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