Pa, stipendi e semplificazioni le prime urgenze per il nuovo governo
I tempi lunghi nel rinnovo dei contratti 2019/21 di scuola e della dirigenza sanitaria riducono le uscite di quest’anno ma le aumentano nel prossimo, quando gli spazi sono già ristretti
I tempi lunghi nel rinnovo dei contratti della scuola, insieme al calendario della tornata che riguarda i dirigenti pubblici a partire dai medici, fanno ormai inevitabilmente slittare all’anno prossimo l’entrata in vigore delle intese. Un problema per i diretti interessati, certo, che devono aspettare ancora l’aggiornamento dei loro stipendi fermi dal 2018. Ma anche per i conti pubblici: perché lo slittamento sposta una gobba di spesa da quest’anno, caratterizzato dagli ampi margini fiscali che di fatto offrono coperture già abbondanti anche per il primo decreto anti-crisi del futuro governo di centrodestra, al prossimo, quando invece i margini di manovra appaiono già risicatissimi. In gioco ci sono circa 4,5 miliardi di euro, cioè oltre due di quei decimali di Pil che fra pochi giorni si riveleranno preziosi per il complicato sforzo di costruzione della legge di bilancio. Ma andiamo con ordine.
Le previsioni tendenziali elaborate dal governo uscente nella Nota di aggiornamento al Def prevedono per il prossimo anno una riduzione dello 0,6% nella spesa per i dipendenti pubblici, dopo un aumento del 6,6% quest’anno. La spiegazione di quest’altalena si trova nella stessa Nadef, dove a pagina 62 si legge che «l’aumento della spesa per i redditi da lavoro dipendente previsto per il 2022 riflette le ipotesi sui rinnovi contrattuali del pubblico impiego e il pagamento dei relativi arretrati». È da ricordare, del resto, che i contratti del pubblico impiego appena rinnovati o in discussione riguardano il 2019/21, ma la macchina è stata messa davvero in moto solo nel marzo dell’anno scorso, con il Patto del lavoro pubblico e la direttiva firmata dal ministro per la Pa Renato Brunetta dopo che la legge di bilancio per il 2021 aveva completato il finanziamento.
I ministeri, insieme ad agenzie fiscali ed enti pubblici statali, sono arrivati al traguardo, sanità ed enti locali sono vicini, ma la scuola no. E la scuola, con i suoi 1,23 milioni di dipendenti, vale da sola quasi il 40% dell’intera pubblica amministrazione.
I negoziati sono in corso. Ma nemmeno la riunione di ieri fra sindacati e Aran, l’agenzia negoziale che rappresenta la Pa come datore di lavoro, ha fatto muovere passi in avanti significativi. Si è parlato di ferie, malattie, congedi e permessi, hanno fatto sapere i sindacati. «Così non va bene, con l’inflazione al 10% stiamo perdendo solo tempo», è sbottato il presidente dell’Anief Marcello Pacifico. In realtà più che all’Aran la partita vera si gioca ora al Mef, chiamato a decidere sulla richiesta girata dal ministero dell’Istruzione di destinare al contratto anche i 300 milioni che l’ultima legge di bilancio dedica alla «valorizzazione» degli insegnanti più attivi sul terreno della continuità didattica e della lotta alla dispersione scolastica. I sindacati giudicano quelle risorse indispensabili per arrivare a un’intesa, ma l’ok del Mef non è ancora arrivato. E a questo punto, anche con un’accelerata nelle prossime settimane, arrivare alla firma finale e all’entrata in vigore del contratto entro la fine dell’anno è materialmente impossibile.
La cosa, si diceva, non è indifferente nemmeno per i conti pubblici. Il contratto della scuola prevede aumenti per 622,9 milioni sul 2019, 963 milioni sul 2020 e 2.021,3 dal 2021. Il recupero dei soli arretrati maturati fino a fine 2022, quindi, produce un costo lordo una tantum da oltre 5,6 miliardi, e un peso effettivo sui saldi, al netto degli oneri riflessi, da 3,5 miliardi. Un altro miliardo abbondante (1,68 miliardi al lordo degli oneri riflessi) valgono gli arretrati che saranno determinati dal rinnovo contrattuale di medici e dirigenti sanitari, in una trattativa che deve ancora partire perché l’atto di indirizzo è appena stato definito (Sole 24 Ore del 7 ottobre). A completare il conto ci sono poi gli altri dirigenti pubblici, che però pesano meno e cumuleranno con i nuovi contratti qualche centinaio di milioni di arretrati.
Con queste premesse, è difficile immaginare che la spesa per gli stipendi pubblici il prossimo anno si riduca davvero. Senza contare che al momento nei conti non ci sono i fondi per il 2022/24, un rinnovo che per coprire l’inflazione del periodo costerebbe circa 16 miliardi di euro per una metà abbondante a carico del bilancio statale. Almeno una parte di quelle risorse dovrà provare a farsi spazio negli spazi già stretti della manovra, a meno di non accendere una probabile protesta sindacale.