Amministratori

Partecipate, cruscotto Mef per monitorare il rischio crisi

Indicatori da coordinare con le indicazioni proposte da Cndcec e Utilitalia

di Stefano Pozzoli

In un momento in cui gli effetti della crisi pandemica si fanno sentire ecco che, opportunamente, la Struttura Mef in base all'articolo 15 del Testo unico delle partecipate avvia la consultazione su un documento che vuole fornire indicazioni sui contenuti del Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale, (articolo 6, comma 2 del Dlgs 175/2016).

Il documento illustra il significato e i contenuti di un Programma-tipo e fornisce indicazioni sulle modalità di monitoraggio delle aree di rischio individuate. Il lavoro, oltre a dare un inquadramento giuridico del tema, propone un esempio di processo di valutazione dei rischi in base a indicatori ricavati in via extra-contabile.

Il documento ha il pregio di intervenire nel momento opportuno, prima dell’approvazione del bilancio, e quindi della relazione di governo societario e, soprattutto, in una fase in cui la valutazione del rischio di crisi è quanto mai sentita. E individua una serie di indicatori, utili per il monitoraggio degli equilibri economici, finanziari e patrimoniali della società, che possono servire da base di riflessione, visto che prudentemente il testo ne qualifica l'elencazione come meramente esemplificativa,.

Trattandosi di un documento in consultazione proviamo anche noi a dare alcune indicazioni.

Le prime sono di carattere tecnico. Una riguarda le soglie di riferimento, su cui il documento non si avventura. Va bene lasciare alla discrezionalità delle società la determinazione di questi valori, ma andrebbe quanto meno chiarito che questi parametri vanno stabiliti prima della redazione del bilancio, visto che in caso contrario è fin troppo semplice non avere indicazioni di allerta, vanificando il ruolo del programma di valutazione del rischio. Una seconda considerazione riguarda il fatto che è pur vero che «le disposizioni del Tusp si pongono in un rapporto di complementarietà con le disposizioni civilistiche», ma questo rapporto va comunque chiarito e qualificato, e deve tradursi in sinergie tra il Tusp e il Codice della crisi. In altre parole, perché non riproporre, nella loro interezza, gli indicatori proposti nel documento del Consiglio nazionale dei dottori commercialiste ed esperti contabili «Crisi di impresa. Indici di allerta» del 20 ottobre 2019, che peraltro danno una chiara indicazione di un valore soglia settoriale? Eppure, solo alcuni degli indicatori presenti nel documento sono sostanzialmente gli stessi (Patrimonio netto, Dscr, indice di liquidità) altri sono analoghi (rapporto tra oneri finanziari e Mol, invece del rapporto tra oneri finanziari e ricavi, analisi del debito scaduto e non solo del debito previdenziale e tributario), mentre due vengono ignorati del tutto (indice di adeguatezza patrimoniale e indice di ritorno dell’attivo). Gli indicatori del Codice della crisi andrebbero riproposti nella loro interezza, così da non creare confusione negli operatori che si troverebbero a confrontarsi con soglie parzialmente diverse.

Ancora, il testo considerato dovrebbe fare tesoro di quanto maturato, in termini di esperienza operativa e di studi, in questi anni, mentre si limita a un generico riferimento a un documento Cndcec sul tema. Sarebbe opportuno ricordare che, nel pionieristico documento proposto da Utilitalia nel marzo del 2017 titolato «Linee guida per la definizione di una misurazione del rischio», era chiaramente esplicitato il “da farsi” nel caso in cui si fosse oltrepassato un parametro di rischio: convocazione della assemblea dei soci, verifica dello stato effettivo di salute della azienda, indirizzo dei soci sul piano di risanamento, eccetera. Una procedura senza dubbio opportuna, anche solo per evitare un proliferare di piani solo teorici. Ecco che una puntualizzazione da parte di un soggetto istituzionale quale la Struttura Mef in proposito sarebbe quanto mai preziosa, perché consentirebbe di avere una chiara traccia del percorso da seguire.

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