Permesso di costruire, annullamento in autotutela entro un termine «ragionevole»
Lo afferma il Consiglio di Stato, che ribadisce anche l'obbligo della Pa di motivare la decisione, evidenziando l'interesse pubblico
«In materia di edilizia, il potere di autotutela deve essere esercitato dall'Amministrazione competente entro un termine ragionevole e supportato dall'esternazione di un interesse pubblico, attuale e concreto, alla rimozione del titolo edilizio tanto più quando il privato, in ragione del tempo trascorso, ha riposto, con la realizzazione del progetto, un ragionevole affidamento sulla regolarità dell'autorizzazione edilizia». Così il Consiglio di Stato, nella recente pronuncia (n.4470/2022) con la quale i giudici della Sesta sezione hanno accolto l'appello di una società che aveva chiesto e ottenuto il rilascio di un permesso di costruire per realizzare una stazione di servizio nel territorio di un comune campano.
Il titolo edilizio era poi stato annullato dall'ente locale perché ritenuto illegittimo a causa di una funzione che non sarebbe stata consentita dal Prg in quella porzione di territorio comunale. L'atto di annullamento è stato impugnato al Tar Campania, il quale ha respinto il ricorso. Di tutt'altra opinione invece il secondo giudice.
Nelle premesse, il Consiglio di Stato ricorda che l'annullamento in autotutela del titolo edilizio rilasciato è una decisione per la quale la Pa esercita un ampio potere discrezionale. Ampio, ma non assoluto. Tale facoltà, ricordano i giudici della Sesta sezione, citando una precedente pronuncia, «è espressione di una rilevante discrezionalità che non esime l'Amministrazione dal dare conto, sia pure sinteticamente, della sussistenza dei menzionati presupposti e l'ambito di motivazione esigibile è integrato dall'allegazione del vizio che inficia il titolo edilizio, dovendosi tenere conto, per il resto, del particolare atteggiarsi dell'interesse pubblico in materia di tutela del territorio e dei valori che su di esso insistono, che possono indubbiamente essere prevalenti, se spiegati, rispetto a quelli contrapposti dei privati, nonché dall'eventuale negligenza o malafede del privato che ha indotto in errore l'Amministrazione».
«Nell'esternazione dell'interesse pubblico - si aggiunge - l'Amministrazione deve indicare non solo gli eventuali profili di illegittimità ma anche le concrete ragioni di pubblico interesse, diverse dal mero ripristino della legalità in ipotesi violata, che inducono a porre nel nulla provvedimenti che, pur se illegittimi, abbiano prodotto i loro effetti». Nel caso specifico, i giudici rilevano l'assenza di una adeguata istruttoria, e di motivazione, oltre alla «assoluta assenza di qualsiasi elemento enucleabile in termini di interesse pubblico ulteriore, rispetto al mero dato della presunta illegittimità». Anche sul piano della legittimità, infatti, i giudici hanno forti dubbi sull'azione della Pa; e, in ogni caso, la motivazione urbanistica indicata dal comune (una funzione che non sarebbe consentita dal Prg) non viene argomentata.