Il CommentoFisco e contabilità

Piani di riequilibrio, la Consulta «colpisce» nella sostanza

di Stefano Pozzoli

I piani di riequilibrio devono servire a risanare i Comuni e non certo a continuare ad aumentare il debito perseverando in una gestione dissennata. La sentenza n. 115 della Corte Costituzionale, redattore Aldo Carosi, che risponde ai dubbi di costituzionalità della Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Calabria, mossi nel procedimento relativo al Comune di Reggio Calabria, riapre la discussione sulla efficacia delle procedure dei piani di riequilibrio finanziario pluriennale (articolo 243bis del Tuel) e al tempo stesso, essendo autoapplicativa, ne realizza, di fatto, una riforma (si veda anche Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 29 giugno) .

Nel caso di specie i dubbi della Sezione di controllo riguardavano l'ammissibilità della riformulazione dei piano di riequilibrio su un arco di tempo ventennale (commi 1-terdecies, 2-bis e 2-ter dell'articolo 38 del Dl 34/2019). Il Comune interessato, Reggio Calabria, aveva adottato un piano in applicazione dell'articolo 1, comma 714, della legge 208/2015 (rimodulazione trentennale dei piani), approvato dalla Sezione di controllo ma successivamente reso inefficace dalla decisione della Corte che ha dichiarato, con sentenza n. 18 del 2019, l'incostituzionalità della disposizione.

L'incidente di costituzionalità sollevato dà l'occasione alla Corte costituzionale di ricostruire, in modo tecnicamente ineccepibile, le modalità di redazione e controllo dei piani di riequilibrio, che devono seguire un criterio sostanziale: i debiti devono ridursi nel corso del piano e, per ottenere ciò, occorre che il risultato di amministrazione di ogni singolo esercizio sia correttamente calcolato, sia positivo e tale da contribuire appunto alla riduzione del debito.

La durata del piano, oggi ventennale, non è oggetto della critica della Corte, che anzi precisa che neppure la sentenza n. 18/2019, relativa ai piani trentennali, voleva colpirne l'arco temporale. Contesta, invece, la meccanica e semplice rimodulazione dei piani precedenti su un numero di esercizi più lungo.

Da qui la dichiarazione di incostituzionalità del solo comma 2-ter dell'articolo 38 del Dl 34/2019, che prevede «il ricalcolo complessivo del disavanzo già oggetto del piano modificato, nel rispetto della disciplina vigente, ferma restando la disciplina prevista per gli altri disavanzi», perché «non vi può essere alcuna determinazione unilaterale dell'entità e della durata del piano da parte dell'ente locale, in quanto esso dovrà essere sottoposto a un attento sindacato di natura tecnico-giuridica (ex plurimis, sentenza n. 39 del 2014) da parte della competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti, secondo i canoni dell'art. 243-bis del d.lgs. n. 267 del 2000. Tale sindacato dovrà, tra l'altro, riguardare lo stato di attuazione del vecchio piano di pagamento dei creditori, l'esistenza di eventuali debiti fuori bilancio, la previa procedura di riconoscimento degli stessi, la previa negoziazione con gli ulteriori creditori eventualmente emersi dopo l'approvazione del piano decennale (con la conseguente diacronica struttura del nuovo piano, scaglionato secondo obbligazioni passive nuove e pregresse), la verifica che le anticipazioni di liquidità siano effettivamente servite per il pagamento di debiti maturati negli esercizi anteriori e non siano surrettiziamente computate tra le fonti di copertura della spesa corrente e che sia assicurata l'iscrizione – analiticamente specificata – del rimborso dei prestiti nella parte passiva del bilancio».

Una sentenza, dunque, che vuole riportare sui binari della sostanza, e non della forma, i piani di riequilibrio, troppo spesso fatti di promesse impossibili da mantenere, di debiti che continuano ad aumentare, di soluzioni, possibili, che vengono rinviate per decenni.