Il CommentoAmministratori

Pnrr, anche le autonomie possono aiutare a centrare gli obiettivi

di Leonida Miglio

Il difetto nelle capacità organizzative di questo Paese, accanto alle tante doti che abbiamo in creatività e tenacia, è probabilmente una convinzione largamente condivisa e documentata. Per tale ragione, è lecito dubitare che un Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) governato centralmente possa produrre risultati concreti nei tempi previsti. Qui si innesta il tema delle autonomie, che sono una risorsa per centrare gli obiettivi comuni, già descritti nel Pnrr, ma con le modalità, che ancora mancano nel documento, più opportune per ogni territorio, secondo un principio di sussidiarietà. Il tema è stato accantonato nella crisi pandemica, dandoci l’illusione che a colpi di Dpcm si possano risolvere le disuguaglianze del Paese, ma se lo shock è stato simmetrico, non lo è stata la risposta dei territori. Questo hanno rivendicato in maniera bipartisan Zaia e Bonaccini in un recente convegno a Milano, presidenti di due regioni che hanno saputo attivare il carattere diverso, ma egualmente proattivo, delle loro popolazioni.

Che il regionalismo differenziato sia meramente un tema di competenza legislativa sulle materie è forse stato l’approccio sbagliato, dato che parlarne senza declinare funzioni e progettualità è come discutere di scatole vuote. Il riordino della sanità territoriale è il caso che ora coinvolge maggiorente i fautori del centralismo e quelli delle autonomie, ma proprio in questo tema troviamo un esempio di un modo più efficace di procedere. La legge regionale 23/2015 della Lombardia ha permesso di fare una sperimentazione a tempo definito di una organizzazione territoriale che ha mostrato diverse falle, di principio e di attuazione, ma almeno ha permesso di capire cosa può funzionare e cosa no.

Se il regionalismo differenziato si attuasse nei confronti del Pnrr secondo il principio di sperimentazioni a tempo e in deroga ad alcune norme nazionali, che il documento vuole comunque superare, proposte da alcune regioni che su quelle materie hanno esperienza tale da proporre dei progetti, allora – previa una valutazione in itinere e a posteriori – potremmo fornire a tutto il Paese delle vie percorribili: anche modulate secondo quelle differenze territoriali, che non siano carenze, ma vocazioni storiche e ambientali.

Il problema di questo metodo pragmatico è che non esiste una sede di concertazione tra Stato ed enti territoriali con poteri decisionali e normativi, che assicuri il processo di leale cooperazione previsto dalla Costituzione e necessario per implementare qualsiasi politica di autonomia. Non lo è la Conferenza delle Regioni, le cui funzioni – essenzialmente consultive – sono descritte nel decreto legislativo 281 del lontano 1997. Il punto è quindi capire come superare questo scoglio istituzionale, che i costituzionalisti intervenuti al convegno di Milano indicano come una disfunzione strutturale, dato che l’attenzione politica è altrove.

Molti governatori, anche del sud Italia, hanno interpretato il loro ruolo nella crisi pandemica sfoderando caratteri e priorità diverse nella difesa dei loro territori, a un livello inusitato per la politica nazionale. Questo è più che comprensibile, ma potrebbe anche ricondursi alla personalizzazione del ruolo e alle necessità di questo transiente. Se una azione politica coerente deve essere attivata per raggiungere le modifiche istituzionali necessarie a una “autonomia concertata”, allora è difficile immaginarla senza che i partiti stessi ammettano una non divisiva ma opportuna declinazione regionale, secondo le priorità dei territori. La riduzione dei parlamentari indebolisce il legame con il proprio collegio? Ragione di più per rafforzare il vincolo con il territorio attraverso un maggior grado di autonomia propositiva, anche e proprio nei partiti.

Quello che dovremmo aver capito in questo inizio di secolo, costellato da diverse crisi sovranazionali, è che siamo tutti interdipendenti, il che non vuol dire che abbiamo tutti le stesse vocazioni, oppure gli stessi legittimi interessi. L’autonomia territoriale non è una bandiera in cui avvolgersi per sancire la propria individualità: piccola o grande che sia la bandiera, il sovranismo decisionale deve fare i conti con questa interdipendenza. Essa è invece una opportunità di sperimentare i percorsi più consoni alle diverse condizioni delle regioni e dei comuni, per raggiungere obiettivi che siano i medesimi. Soprattutto quelli così astrattamente rivoluzionari e sfidanti del Pnrr.