Il CommentoFisco e contabilità

Pnrr, nel disbrigo degli affari correnti del governo anche ciò che occorre per essere puntuali con l'Ue

di Ettore Jorio

Con Draghi in knock out si rischia grosso. 46 miliardi del Pnrr, riferibili ai 45 obiettivi scaduti a giugno e quelli in scadenza a fine anno, rispettivamente in forse e in serio pericolo. Così come si ingenera il timore di dovere restituire quanto ricevuto sino a ora dall'Ue a titolo di acconto sul Recovery Fund.

Questo è il risultato delle decisioni scellerate di mandare Mario Draghi a casa e di buttare al vento il lavoro prezioso coordinato dal sottosegretario Garofoli, di impostazione attuativa del Pnrr. Un lavoro difficile e pieno zeppo di difficili adempimenti che ne autogenerano degli altri. Un lavoro portato avanti nonostante: l'incapienza strutturale della burocrazia, non avvezza ad affrontare i compiti relativi tra le improrogabili scadenze scandite dal calendario; un sistema autonomistico inadeguato a sopportare sforzi elaborativi, anche perché privo delle risorse umane occorrenti; l'invalicabile limite dei termini caratterizzati dalla perentorietà delle scadenze.

Certo, il Governo durerà in carica per l'ordinario, onnicompresivo delle competenze necessarie a portare a buon fine il Pnrr sino alle elezioni. Ciò senza contare tuttavia che la ripresa post elettorale, probabilmente senza la governance attuale, porterà più problemi della cacciata del super Mario.

Di certo, il presidente Sergio Mattarella ha teso la mano al presidente Draghi, nel senso di comprendere nel disbrigo degli affari correnti anche ciò che occorre per essere puntuale con l'Ue. La circolare del Premier in carica del 21 luglio scorso la dice lunga in tal senso. Andare avanti a tutti i costi con il Pnrr e senza esitazione alcuna, addirittura arrivando ove mai ad anticipare le scadenze fissate per il post esito elettorale del 25 settembre, perché minaccioso più di quanto lo sia un ciclone del Pacifico.

Ben venga questa accelerazione, ma che non sia esercitata a danno del risultato, invero un po' già compromesso: dalla obsolescenza di qualche progetto infrastrutturale risalente addirittura alla delibera Cipe n. 121 del 21 dicembre 2001; dalla mancata programmazione di grandi interventi primari (quali sistema delle acque, della rete fognante per tutto il Mezzogiorno, che sarebbero stati risolutivi per agricoltura e pulizia del mare!); dalla inadeguatezza della macchina della Pa locale, sprovvista di tutto e in quanto tale da assistere con il ricorso ad un contratto di rete istituzionale; dalla improvvisazione di selezionare esperti che poi non sono tali nella pratica.

E le riforme, cui il godimento reale degli oltre 191 milardi complessivi è subordinato? Sono tante e non facili da perfezionare, se non con l'adozione di decreti legge. Una opzione difficile, ma l'unica da poter praticare e ipotecare il Parlamento che verrà a convertirle velocemente. Completamento della giustizia civile e penale e riordino del Csm, concorrenza sulla quale incidere seriamente, riforma della Pa e del fisco, semplificazione non sono mica uno scherzo. Ma occorre farle, se non si vuole perdere l'occasione della vita del nostro Paese, la possibilità di cambiarlo.

Un compito arduo, ma che si spera a portata del carisma di Mario Draghi, della contrattualità in Europa e ovunque, della sua esperienza e capacità difficili da rintracciare altrove. Il tutto collaborato da una politica che sa di essere additata e seriamente, nel caso di una sua opposizione strumentale.

La coscienza civile che, si spera, l'elettorato possegga ancora dovrebbe costituire la più grande remora a che l'estate in corso diventi un periodo di gran lavoro per tutti. Funzionale a ben sostenete l'esame fissato per il prossimo 25 settembre.