Progettazione

Prevenzione incendi, mini-guida alla progettazione inclusiva dei luoghi di lavoro

Primi orientamenti - insieme all'architetto e vigile del fuoco Stefano Zanut - sulle norme in vigore dal prossimo ottobre

di Mariagrazia Barletta

Progettare per tutti in modo inclusivo, in riferimento sia alle condizioni ordinarie che di emergenza. È questo l'impegno richiesto a datori di lavoro, progettisti e consulenti della sicurezza per garantire protezione alle persone con disabilità e non solo. Necessari un salto culturale e un approccio alla progettazione e alla gestione della sicurezza che non ragioni più per standard. Scelte e strategie devono partire dalla conoscenza delle «esigenze specifiche» di ciascuno, in modo che anche la pianificazione dell'emergenza non escluda il coinvolgimento e la partecipazione delle persone da condurre in salvo. È un'importante rivoluzione, che prende corpo con il Codice di prevenzione incendi e si diffonde con le nuove norme sulla sicurezza antincendio nei luoghi di lavoro destinate a sostituire lo storico decreto 10 marzo 1998. Il riferimento è in particolare ai decreti interministeriali 2 e 3 settembre 2021, che andranno in vigore rispettivamente il 4 ottobre e il 29 ottobre 2022.

Le diverse disabilità (fisiche, cognitive, sensoriali, etc..) e le specifiche necessità di chi a qualsiasi titolo è presente nel luogo di lavoro, sono parte integrante della progettazione della sicurezza antincendio e vanno considerate anche nella pianificazione delle azioni e delle strategie da mettere in atto in caso di emergenza. Le specifiche necessità, comprese le disabilità, degli occupanti vanno individuate e messe in relazione con lo spazio perché è fondamentale considerare anche l'interazione tra la particolare disabilità o specifica necessità della persona e l'ambiente in cui questa si muove in caso di emergenza. È questa la chiave di lettura per comprendere il senso delle nuove norme e degli approcci progettuali, che determinano nuove attenzioni, alcune abbastanza onerose, come la predisposizione di spazi calmi, ma molte governabili attraverso misure di carattere gestionale ed una buona formazione e un serio addestramento dei lavoratori addetti al servizio antincendio.

Sui temi dell'inclusione e sui relativi passaggi più delicati della nuova normativa, risponde, fornendo preziosi suggerimenti e spiegazioni, Stefano Zanut, architetto e direttore vicedirigente del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, in servizio presso il Comando provinciale di Pordenone, membro dell'Osservatorio nazionale sulla Sicurezza e il soccorso alle persone con esigenze speciali dei Vigili del fuoco e massimo esperto italiano di progettazione inclusiva della sicurezza antincendio e di soccorso delle persone con esigenze speciali.

Le «esigenze speciali» da considerare
Il datore di lavoro, o chi per lui redige la valutazione dei rischi, deve individuare le necessità particolari delle persone con «esigenze speciali» e tenerne conto nella progettazione e realizzazione delle misure di sicurezza antincendio, compresa la pianificazione delle strategie da attuare in caso di emergenza. Ma, quali sono le esigenze speciali a cui prestare attenzione? «Sono intanto tutte quelle che già consideravamo con il Dm 10 marzo ‘98, in cui veniva genericamente richiamato il concetto di "disabilità" lasciando poi al datore di lavoro l'incombenza di determinare se di tipo sensoriale, motoria o cognitiva. Dobbiamo pensare che solo un anno dopo sarebbe stata emanata legge 68 del 1999 sul diritto al lavoro delle persone con disabilità, che aiuterà in questo», spiega Stefano Zanut. Già il Dm 10 marzo '98 portava all'attenzione non solo «le persone con disabilità conclamata, ma anche quelle che potevano entrare nell'ambiente oppure persone anziane, con gli arti fratturati, donne in stato di gravidanza, bambini, ovvero le persone che consideriamo più vulnerabili in caso di emergenza», ricorda l'architetto. Le nuove norme ereditano questa sensibilità, ma l'amplificano anche sulla scorta dell'evoluzione normativa che ha preso corpo con il Codice di prevenzione incendi.

Oltre alle vulnerabilità identificate dal Dm del 1998, «ci sono tutte le condizioni particolari riferite alle persone e quelle connesse all'ambiente in cui si trovano. Faccio un esempio: una persona sorda, o con un problema di udito, non sente un segnale di allarme acustico. La stessa condizione può riguardare anche una che, lavorando in un contesto in cui c'è un rumore di fondo importante, usa gli otoprotettori. Il concetto di esigenze speciali è quindi legato anche alla condizione che sta vivendo la persona, un aspetto che solo un'attenta analisi può far emergere». Bisogna dunque valutare anche quelle «condizioni determinate dal modo in cui le persone interagiscono con l'ambiente. D'altra parte il decreto del 3 settembre lancia una definizione generica di esigenze speciali che il datore di lavoro, ovviamente affiancato dal suo professionista di fiducia, deve essere in grado di identificare», aggiunge Zanut, che continua: «Consideriamo, ad esempio, le persone con problemi di dislessia che potrebbero non avere la capacità di interpretare le indicazioni scritte. L'obiettivo del decreto è chiedere al datore di lavoro di porre attenzione a chi entra nel suo ambiente e il concetto di esigenze speciali va proprio in questa direzione».

Come tener conto degli utenti delle attività aperte al pubblico
È ormai chiaro che progettare la sicurezza sulla base di un utente standard sarebbe un grave errore che porterebbe a trascurare i diritti delle persone con disabilità o con particolari vulnerabilità. Non sempre però ci si può regolare prendendo in considerazione le esigenze di utenti reali, come nel caso dei luoghi di lavoro aperti al pubblico, come gli uffici, le attività commerciali e culturali. Qual è il giusto approccio da seguire quando non si conoscono a priori le necessità specifiche degli utenti, data anche la varietà di disabilità e di altre esigenze speciali che potrebbero generare difficoltà in caso di emergenza? «Se ho un'attività aperta al pubblico dovrò immaginare che potrebbe esserci chiunque: una persona in sedia a rotelle, una persona sorda o ipovedente, una donna col pancione, un bambino o una persona anziana e se non ho la possibilità di prefigurare a priori chi ci sarà dovrò pensare a una condizione ambientale a tutto tondo», spiega ancora Zanut. «Voglio dire che, per esempio, nel predisporre il sistema d'esodo dovrò considerare che non tutti potranno scendere dalle scale autonomamente, allora sarà necessario pensare a spazi calmi o a compartimentazioni per l'esodo orizzontale progressivo. Dovrò considerare che non tutti saranno capaci di leggere correttamente una mappa di orientamento, allora sarà necessario elaborare modalità capaci di risolvere questi aspetti. Nella gestione dell'emergenza, infine, la formazione dei lavoratori sarà finalizzata anche a dar loro tutti gli strumenti per gestire le diverse situazioni davanti a cui potranno trovarsi, anche in funzione delle esigenze speciali di cui stiamo parlando».

«Dovremmo incominciare - sottolinea Zanut - a integrare i corsi classici per addetti antincendio con un modulo che dia questi strumenti, a partire dal riconoscimento delle esigenze delle persone. Faccio ancora un esempio: una persona con difficoltà motorie in sedia a rotelle si riconosce chiaramente, di conseguenza può essere più facile elaborare per lei una risposta in caso di necessità, così come una persona con la sindrome di Down: è abbastanza facile riconoscerla dai tratti somatici; al contrario, una persona con autismo è difficile individuarla solo guardandola e la si può riconoscere da come reagisce in funzione degli stimoli proposti. Sono aspetti che un addetto alla gestione dell'emergenza deve conoscere per elaborare le più appropriate modalità d'intervento».

L'interazione con l'ambiente
Dunque, la realtà e le esigenze, anche speciali, a cui dover fare riferimento possono essere le più svariate. La nuova norma le pone in primo piano anche quando rimanda al Codice per i termini e le definizioni in essa incluse. La valutazione del rischio deve considerare – viene scritto chiaramente nel nuovo Dm - la quantità e la qualità della tipologia di ciascun occupante, definito dal codice come «persona presente a qualsiasi titolo all'interno dell'attività, considerata anche alla luce della sua modalità di interazione con l'ambiente in condizioni di disabilità fisiche, mentali o sensoriali». Una sensibilità, quella del Codice e delle nuove norme sui luoghi di lavoro, maturata nell'ambito di un nuovo quadro concettuale cambiato anche con l'approvazione, nel 2001, della classificazione (Icf) dell'Oms che definisce la disabilità come «la conseguenza o il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive l'individuo».

Ecco, allora, che la riduzione delle capacità funzionali messa in relazione alle specifiche condizioni ambientali non può che diventare il fulcro della progettazione inclusiva. I percorsi che permettono di raggiungere un luogo sicuro devono consentire, anche alle persone con esigenze speciali, di potersi mettere in salvo agevolmente e in sicurezza. I dislivelli, la lunghezza dei percorsi, le caratteristiche delle pavimentazioni, la segnaletica di sicurezza, l'accessibilità dei dispositivi di sicurezza, la presenza di eventuali spazi calmi, la facile riconoscibilità del sistema d'esodo, sono tutti fattori che agiscono sulla componente "ambiente" e che progettisti e datori di lavoro devono tener ben presenti. Non a caso, il Codice di prevenzione incendi individua alcuni indicatori ambientali che possono facilitare la riconoscibilità del sistema d'esodo e l'orientamento in caso di emergenza, quali: l'accesso visivo e tattile alle informazioni, il grado di differenziazione architettonica, l'uso della segnaletica per la corretta identificazione direzionale e l'ordinata configurazione geometrica dell'edificio, anche in relazione ad allestimenti mobili o temporanei.

Esodo orizzontale e gli spazi calmi, ecco quando vanno previsti
«In tutti i piani dell'attività nei quali vi può essere presenza non occasionale di occupanti che non abbiano sufficienti abilità per raggiungere autonomamente un luogo sicuro tramite vie d'esodo verticali, deve essere possibile l'esodo orizzontale verso un luogo sicuro o uno spazio calmo». È quanto prescrive il Dm 3 settembre 2021 per i luoghi di lavoro considerati a basso rischio d'incendio. La previsione di compartimentazioni e di spazi calmi dove gli occupanti possano, in sicurezza, attendere e ricevere assistenza per completare l'esodo verso un luogo sicuro, è contenuta anche nel Codice di prevenzione incendi che, va ricordato, si applica ai luoghi di lavoro non ricompresi nel campo di applicazione del Dm 3 settembre 2021, ad esclusione dei casi in cui si seguono regole tecniche verticali di stampo tradizionale. La predisposizione dell'esodo orizzontale o di spazi calmi è la prescrizione più critica ed onerosa introdotta dal nuovo «Mini-codice».

Intanto, va detto che per le attività esistenti al 29 ottobre 2022, l'obbligo di adeguarsi alle misure del nuovo Dm scatta al verificarsi delle condizioni che, secondo il Dlgs 81 del 2008, innescano l'obbligo di rielaborazione del documento di valutazione dei rischi, ossia in caso modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative per la salute e sicurezza dei lavoratori, o in caso di modifiche resesi necessarie in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione o della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità. L'obbligo di esodo orizzontale verso un luogo sicuro o di avere uno spazio calmo troverà ampia applicazione. Lo stesso Codice di prevenzione incendi individua alcuni accorgimenti costruttivi come indicatori di presenza non occasionale di persone che avrebbero difficoltà a percorrere vie di esodo verticali. Tra questi vi sono gli stalli per disabili nelle autorimesse, i servizi igienici per disabili, i montascale, etc. Dunque, ciò che emerge è che laddove la normativa sull'eliminazione o superamento delle barriere architettoniche richiede requisiti di accessibilità, la presenza di persone con disabilità non può essere considerata non occasionale. Nel caso di luoghi di lavoro senza accesso al pubblico, se c'è un lavoratore disabile, «siamo di fronte ad una presenza non occasionale perché un rapporto di lavoro è indicatore di una presenza continua», sottolinea ancora Stefano Zanut.

Comunicazione accessibile a tutti
Relativamente all'emergenza, «la comunicazione deve essere accessibile a tutti, anche attraverso strumenti compatibili con specifiche esigenze dei lavoratori», è quanto scritto nero su bianco nel Dm 2 settembre 2021. La comunicazione dell'emergenza deve poter raggiungere tutte le persone presenti nel luogo di lavoro ed essere da queste ben compresa. È necessario includere tutti nella comunicazione, anche chi ha difficoltà, ad esempio, uditive o cognitive o le persone ipovedenti o non vedenti. Una comunicazione efficace riduce i tempi di pre-movimento che coprono le fasi che vanno dalla rivelazione dell'incendio al momento in cui la persona si accinge a mettersi in cammino per porsi in salvo. Il Dm 2 settembre obbliga il datore di lavoro a prevedere, ad esempio, adeguate modalità di diffusione dell'allarme attraverso dispositivi sensoriali (luci, scritte luminose, dispositivi a vibrazione, etc.) e messaggi da altoparlanti (ad esempio con sistema Evac). Nel luogo di lavoro potrebbe esserci anche una persona straniera. «Mi rendo conto che non possiamo imporre la conoscenza agli addetti alla gestione dell'emergenza di una lingua particolare, ma è certamente necessario considerare la possibilità che in una situazione critica si possa comunicare in modo efficace: anche una lingua diversa dalla mia, se non la conosco, può rappresentare una barriera capace di compromettere la mia azione. In questi casi si dovranno elaborare strategie di comunicazione che riescano in qualche modo a compensare tali particolari condizioni. Anche questo vuol dire riconoscere esigenze speciali», suggerisce Stefano Zanut.

Parola chiave: partecipazione
Se al centro della pianificazione dell'emergenza devono esserci le esigenze speciali delle persone, allora queste devono essere coinvolte, a meno che non ci si trovi di fronte al caso in cui l'utente reale non si conosce a priori. «Ci sono dei significati chiari ed altri sottesi, ma il concetto stesso di inclusione che è contenuto nel Codice e che sta permeando tutto il nostro percorso, porta a considerare le Persone con la "P" maiuscola, e questo vuol dire anche farle partecipare. Lo strumento più efficace per operare in tal senso è il loro coinvolgimento. La partecipazione, quindi, può diventare uno strumento importante al servizio di una sicurezza realmente inclusiva», conclude Stefano Zanut.

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