Personale

Pubblico impiego, incompatibile lo svolgimento dell'attività agricola

Ad affermarlo è la Cassazione con una decisione che attualizza l'articolo 60 del Dpr 3/1957

di Andrea Alberto Moramarco

Lo svolgimento dell'attività agricola, se esercitata con i caratteri della abitualità e professionalità, caratteri che la forma societaria fa presumere, è incompatibile con un incarico pubblico in un ente locale. Anche in questo caso, infatti, vi è una interferenza sull'attività ordinaria del dipendente non giustificabile alla luce dei principi costituzionali e della normativa in tema di cumulo di impieghi. Ad affermarlo è la Cassazione con l'ordinanza n. 27420/2020, attualizzando l'articolo 60 del Dpr 3/1957, norma che individua le attività assolutamente incompatibili con l'impiego pubblico.

Il caso
Protagonista della vicenda è un dipendente a tempo pieno di un piccolo Comune sardo, il quale dopo aver ottenuto l'autorizzazione (illegittima) dal Comune, diveniva socio e amministratore di una azienda agricola, regolarmente iscritta al registro delle imprese. In seguito, il Comune trasformava il rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, rigettando ogni pretesa del dipendente che si opponeva. I giudici, in prima battuta hanno dato ragione al dipendente, mentre in appello hanno confermato la legittimità della decisione dell'ente locale. Oggetto del contendere era l'eventuale incompatibilità dello svolgimento dell'attività agricola con quella di dipendente di ente locale. La questione è giunta, infine, in Cassazione, dove il lavoratore pubblico, divenuto ormai ex imprenditore agricolo dopo la cancellazione della società agricola dal registro delle imprese, riteneva che l'attività agricola non rientrasse tra quelle vietate ai dipendenti pubblici.

Il quadro normativo
I giudici ripercorrono tutte le tappe normative, a partire dal Rd 383/1934, per finire al Testo unico sul pubblico impiego (Dlg 165/2001 più volte aggiornato), passando per il Dpr 3/1957, sottolineando la riserva di regolazione tramite atti aventi forza di legge sul tema, a salvaguardia della omogeneità dei rapporti di lavoro nel settore pubblico. Attualmente, sostiene la Cassazione, la questione è regolata dal combinato disposto degli articoli 53 del Testo unico sul pubblico impiego e degli articoli 60-64 del Dpr 3/1957. Queste disposizioni delineano un quadro tripartito: attività assolutamente incompatibili, ovvero inibite anche se autorizzate, espressamente indicate dall'articolo 60 del Dpr 3/1957; attività consentite senza autorizzazione, indicate dall'articolo 53 del Testo unico sul pubblico impiego; attività esercitabili con autorizzazione, ovvero tutte le altre, indicate sempre dall'articolo 53 del Testo unico sul pubblico impiego.

Attività agricola non consentita
Nello specifico, quanto alle attività assolutamente incompatibili con l'impiego pubblico, l'articolo 60 include tra queste il commercio, l'industria, la professione o impieghi alle dipendenze di privati e cariche in società, utilizzando una previsione ampia dal punto di vista oggettivo, che include «tutte le attività che presentino i caratteri della abitualità e professionalità idonee a disperdere all'esterno le energie lavorative del dipendente e ciò al fine di preservare queste ultime e tutelare il buon andamento della p.a.». Tra tali attività, anche se non è espressamente indicata, per il collegio, rientra anche l'attività agricola, oggi esercitata per mezzo di strutture societarie e con gli stessi caratteri di ogni altra attività imprenditoriale. Ciò vale, sostiene la Corte, nonostante parte della giurisprudenza amministrativa ritenga il contrario e nonostante l'attività agricola abbia una disciplina particolare e per certi tratti distinta dal resto delle attività commerciali all'interno del codice civile.

L'evoluzione interpretativa dell'articolo 60 del Dpr 3/1957
Sul punto i giudici di legittimità spiegano che l'articolo 60 del Dpr 3/1957 va interpretato «in un senso più aderente alla realtà attuale». La norma, infatti, è figlia del suo tempo e tiene conto della «struttura economico-sociale del Paese negli anni ‘50» dove «quasi ogni famiglia, a vario titolo, era implicata nell'agricoltura, sicché se tale attività fosse stata inserita, per via interpretativa, tra quelle incompatibili ne sarebbe derivata l'esclusione dall'impiego statale della maggior parte dei cittadini». D'altra parte, aggiunge il Collegio, una interpretazione più attuale della disposizione è imposta dall'evoluzione della stessa normativa sulla attività agricola, dalla legge 153/1975 sino al Dlgs 99/2004 che ha disciplinato per l'appunto l'istituto della società agricola.

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