Recovery plan, per l'attuazione bisogna abbandonare il dirigismo
La concreta attuazione degli obiettivi del Pnrr costituisce senza dubbio la sfida che il nostro Paese è chiamato ad affrontare nei prossimi anni ed è condizione per garantire che le ingenti risorse stanziate a livello europeo vengano poi erogate.
Un ruolo decisivo in questa difficile operazione è assegnato alle nostre Pubbliche amministrazioni, sia nella fase della progettualità che di controllo di fattibilità e correttezza gestionale e amministrativa.
A questa sfida le nostre amministrazioni arrivano sicuramente con il fiato corto e le criticità e gli errori rilevati in questi giorni su alcuni progetti presentati per i bandi del Pnrr lo dimostrano chiaramente.
Per decenni la politica dei tagli e dei disinvestimenti ha portato la capacità operativa di molti uffici al minimo, con un personale sempre più ridotto, invecchiato e non formato adeguatamente per la mancanza di una seria politica formativa.
A ciò si aggiungono l'arretratezza delle dotazioni informatiche, i processi lavorativi obsoleti, un'organizzazione del lavoro spesso ancora caratterizzata da un'impostazione gerarchico-piramidale, che ha ingessato le tante professionalità presenti, in ossequio alla logica deresponsabilizzante del mero adempimento formale, in luogo del lavoro per obiettivi e risultati.
Le politiche del personale sono andate nella medesima direzione: blocco decennale dei contratti nazionali di lavoro, stipendi al di sotto della media europea, disconoscimento del diritto alla carriera, ordinamenti professionali desueti, per non parlare della campagna continua di denigrazione dei lavoratori pubblici, additati come fannulloni o assenteisti, per depotenziare la Pubblica amministrazione ed esternalizzarne le funzioni, con le visibili ricadute negative in termini di efficienza e competitività.
Se a questo aggiungiamo anche la complessità, e direi anche la farraginosità, della nostra architettura istituzionale, le duplicazioni di competenze tra i diversi poteri (Stato centrale, Regioni ed enti locali), la coesistenza di più uffici con le medesime attribuzioni, appare evidente un quadro complessivo fortemente critico.
L'ultima riforma dell'articolazione delle nostre amministrazioni centrali risale al 1996 (Legge Bassanini) e da allora abbiamo assistito solo ad operazioni disorganiche, a spacchettamenti o a ricomposizioni di amministrazioni, di creazione di poltrone di governo e di sottogoverno, che hanno reso ancora più complessa l'azione amministrativa, per troppo tempo impegnata unicamente a scrivere ed a riscrivere atti di riorganizzazione interna piuttosto che a garantire servizi a cittadini e imprese.
Se veramente, come è necessario, si vuole invertire la tendenza nefasta degli ultimi decenni, bisogna abbandonare la politica delle iniziative last minute, di natura emergenziale, che ha prodotto solo precariato e disfunzioni, quella degli annunci a effetto, o quella che si limita, quando va bene, a scimmiottare malamente esperienze straniere. E non vi sarebbe neanche bisogno di nuove leggi, che andrebbero ad alimentare il caos normativo che già sommerge gli uffici e il personale e confonde chi ogni giorno cerca servizi e prestazioni di qualità dalla nostra Pubblica amministrazione.
I veri cambiamenti e le innovazioni si producono dal basso, dall'interno, promuovendo e incoraggiando le migliori pratiche, in sinergia con gli stakeholders e la società civile.
Quello che serve è un progetto di ampio respiro, pluriennale, strategico, che investa su tutti gli asset (tecnologia, infrastrutture, organizzazione del lavoro e processi, personale e formazione, rinnovando i contratti collettivi che costituiscono in tale ambito uno strumento fondamentale), che metta in connessione e faccia dialogare tutti i soggetti, superi i particolarismi e le gelosie di appartenenza, responsabilizzi pienamente la dirigenza e il personale, faccia fare un passo indietro alla politica nella gestione, limitandone il ruolo a quello che gli è proprio di indirizzo e di definizione dei macro obiettivi.
Il nostro Paese sarà in grado di rispondere positivamente a questa sfida solo se cambierà veramente passo e supererà i ritardi ancora presenti in una classe politica, complessivamente inadeguata, e il corporativismo miope di molti settori che vedono gli investimenti nella Pa non come un'opportunità per creare valore, ma come una sottrazione di risorse potenzialmente a loro destinate.
(*) Segretario generale Flp