Il CommentoAmministratori

Regioni, la Consulta rilancia la necessità di una regia nazionale

di Ettore Jorio

Da pochi giorni è stata di fatto rivalutata la riforma costituzionale proposta da Renzi nel 2016, più esattamente di quanto propose a modifica del Titolo V, parte II, con particolare riferimento alla sanità. Più esattamente, in relazione all'articolo 117, comma 2, lettera m), della Costituzione, così com'era riscritto nel progetto di revisione approvato definitivamente in Parlamento il 12 aprile 2016), secondo l'articolo 138 della Carta, ma bocciato nel referendum confermativo celebrato il 4 dicembre successivo.

In buona sostanza, la modifica del disegno di legge costituzionale prevedeva:
• la più generale espulsione dall'ordinamento costituzionale dell'esercizio legislativo concorrente;
• la riassunzione in capo allo Stato, oltre alla disciplina dei livelli essenziali delle prestazioni afferenti ai diritti civili e sociali (sanità in primis), della competenza a sancire «disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare». Se ciò fosse divenuto precetto costituzionale, molte delle decisioni della Consulta in tema di conflitto Stato/Regioni in materia di salute, compresa l'ordinanza che ci occupa, non avrebbero conquistato ragion d'essere.

La Corte costituzionale come un Tar
Con l'adozione dell'ordinanza n. 4 del 14 gennaio 2021, il Giudice delle Leggi interviene, quasi come se fosse un Tar nei confronti di un provvedimento amministrativo, disponendo la sospensione, in via cautelativa, dell'efficacia di una legge. Quella approvata dalla Valle d'Aosta il 9 dicembre 2020, rubricata al n. 11, recante misure di contenimento della diffusione del virus SARS-COV-2 nelle attività socio ed economiche valdostane. Lo fa in attesa che la sua eccepita illegittimità costituzionale sia discussa nell'udienza di merito fissata per il 23 febbraio prossimo (si veda Enti locali & edilizia 15 gennaio).

Le novità
Cosa ha significato tutto questo? Principalmente, due cose. La prima che la Consulta ha ritenuto lesiva dei principi costituzionali ogni legge regionale che metta comunque a rischio - aggravandone la dimensione di quello già esistente anche a livello locale - la salute delle persone e l'interesse pubblico a una gestione unitaria a livello nazionale della pandemia. Stabilendo in proposito che quando lo faccia in una entità idonea a comprometterli in modo irreparabile la stessa è soggetta anche a misure cautelari, nelle more della decisione di merito, sussistendo il fumus boni iuris.
La seconda è quella che la Corte costituzionale abbia deciso, per la prima volta - articolo 9, comma 4, della legge 131/2003, attuativo della revisione costituzionale del 2001 - la sospensione dell'efficacia della legge regionale impugnata, atteso il suo potenziale pregiudizio applicativo, tale da rappresentare un rischio grave e irreparabile per l'interesse pubblico e i diritti dei cittadini.

Le salutari ricadute
Dalla Corte costituzionale una buona grande lezione e un severo monito alle Regioni a legiferare in armonia con i principi generali di profilassi internazionale, di competenza esclusiva dello Stato. Non solo. Di agire in sinergia con il Governo nel quadro della migliore leale collaborazione, specie nell'adozione dei programmi operativi Covid e dei piani vaccinali, che dovranno essere puntualmente implementati nelle loro diverse fasi attuative progressive.
E ancora. Di riorganizzare prontamente i loro sistemi sanitari regionali, cominciando dalla revisione degli atti aziendali delle aziende della salute e dalla riprogrammazione delle reti assistenziali (quella territoriale in primi), in modo da renderli perfettamente complementari alla difficile lotta al Coronavirus.