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Rifiuti: rotta puntata sull’autosufficienza delle Regioni

La sottosegretaria Gava: «Così costruiremo nuovi impianti moderni e sicuri»

di Celestina Dominelli

Il messaggio è chiarissimo: ogni Regione dovrà garantire la piena autonomia per la gestione dei rifiuti urbani non differenziati e per la frazione derivante dal trattamento di quelli destinati allo smaltimento. Un principio generale che potrà però essere derogato spostando l’asse su un territorio più ampio - da individuare come macroarea e sulla base di un meccanismo di prossimità -, solo a determinate condizioni e in modo da minimizzare l’impatto relativo al trasporto dei rifiuti stessi. È questa la rotta indicata dal Programma nazionale per la gestione dei rifiuti (Pngr), già previsto dal Testo unico ambientale e inserito dal Recovery Plan tra le riforme abilitanti da centrare entro fine giugno per il ministero della Transizione ecologica. Che, nei giorni scorsi, ha dato il via al decreto di recepimento di questo strumento di indirizzo e supporto della pianificazione regionale facendo così partire il conto alla rovescia per i piani territoriali con gli enti locali chiamati ad adottare le proprie strategie operative entro 18 mesi dalla pubblicazione definitiva del Pngr.

«Il Programma nazionale di gestione dei rifiuti è lo strumento di indirizzo per le Regioni e Province autonome - spiega al Sole 24 Ore la sottosegretaria al Mite, Vannia Gava, che ha la delega per l’economia circolare e il ciclo dei rifiuti -. L’obiettivo è colmare il gap impiantistico, aumentare il tasso di raccolta differenziata e di riciclaggio e anche di contribuire alla transizione energetica». L’Italia, sottolinea ancora l’esponente della Lega, «continua a pagare delle sanzioni pesantissime: troppi rifiuti, più di 1,3 milioni di tonnellate finiscono fuori Regione o all’estero a causa dell’assenza di una rete integrata di impianti funzionale. Grazie al Pngr e a una corretta pianificazione abbiamo finalmente l’occasione di promuovere e costruire nuovi impianti, moderni e sicuri, tecnologicamente avanzati, per il trattamento dei rifiuti dove serve».

Va detto che il Programma nazionale non contiene una puntuale ricognizione delle localizzazioni e degli impianti necessari a recuperare ritardi e inefficienze su questo versante, poiché il boccino viene lasciato in mano alle Regioni. Il documento stabilisce però, sulla base delle risultanze di uno studio commissionato dal Mite all’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale)- che ha analizzato i flussi di sistemi dei rifiuti urbani e del ciclo di vita (focalizzando l’attenzione su 8 Regioni rappresentative di tutto il territorio nazionale) - i criteri generali da considerare per identificare le macroaree (dalla contiguità territoriale al contributo quantificabile alla decarbonizzazione in termini di riduzione della CO2) e per assicurare il progressivo riequilibrio tra le aree del territorio nazionale. Superando anche il ricorso alla discarica (con la previsione di step intermedi a partire dal 2023 per centrare l’asticella al 10% al 2035) e riducendo altresì il trasporto di rifiuti all’estero.

Un fronte, quest’ultimo, che vede, come documenta il Green Book 2022, promosso da Utilitalia e curato dalla Fondazione Utilitatis, con il supporto quest’anno dell’Ispra, la Germania in testa ai Paesi che ricevono la maggior quantità di rifiuti italiani (con il 20,5% delle esportazioni) e al primo posto tra quelli che inviano nella penisola il quantativo più rilevante (29% delle importazioni).

«Tra gli elementi positivi del Programma nazionale per la gestione dei rifiuti – osserva il vicepresidente di Utilitalia, Filippo Brandolini – vi è sicuramente la scelta di non essersi limitati ai dati sulla produzione, ma di aver allargato il campo agli interi flussi gestionali, tenendo conto dei viaggi dei rifiuti all’interno del nostro Paese e verso l’estero». Brandolini torna poi sulla situazione complessiva del comparto e sulle esigenze a livello impiantistico. «Secondo le nostre stime – continua Brandolini – per raggiungere gli obiettivi Ue al 2035 il fabbisogno impiantistico italiano ammonta a 5,8 milioni di tonnellate: servono altri impianti per il trattamento dell’organico, su cui sappiamo esserci molte iniziative in corso di sviluppo, e per il recupero energetico delle frazioni non riciclabili. Al ritmo attuale di conferimento saremo obbligati a scegliere se costruire nuovi impianti o continuare a portare i rifiuti in discarica, sottoponendo il nostro Paese a nuove procedure di infrazione».

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