Amministratori

Se previsto solo dalla legge non c'è l'obbligo di motivazione delle delibere di costituzione o partecipazione

Parere negativo della Corte sull'acquisizione da parte del Comune di quote di una società di gestione del servizio idrico

di Anna Guiducci

Solo se previsto espressamente dalla legge non sussiste l'obbligo di motivazione degli atti deliberativi delle amministrazioni pubbliche finalizzati alla costituzione o partecipazione a una determinata società. A chiarirlo è la Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Campania che, con la deliberazione n. 73/2023, esprime parere negativo in ordine all'acquisizione da parte del Comune di quote di una società di gestione del servizio idrico.

Il primo comma dell'articolo 5 del Tusp stabilisce infatti l'obbligo di indicare nell' atto deliberativo di costituzione o di acquisto di partecipazioni, anche indirette, una analitica motivazione con riferimento alla necessità della società per il perseguimento delle finalità istituzionali. L'atto deve inoltre evidenziare le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria, nonchè in riferimento alle diverse modalità di gestione del servizio affidato. Occorre poi dare conto della compatibilità della scelta con i principi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa. Tale motivazione non è però richiesta nei casi in cui la costituzione di una società o l'acquisto di una partecipazione, anche attraverso aumento di capitale, avvenga in conformità a espresse previsioni legislative da parte di amministrazioni pubbliche.

Ad avviso del Collegio, nel caso di specie non sussistono le condizioni di operatività dell'articolo 5, comma 1, del Testo unico società partecipate, richiamato nella delibera oggetto di esame, in quanto, dall'analisi della normativa statale e regionale, non si ricava un espresso obbligo di costituzione o di acquisizione di quote societarie.

L'articolo 149 bis del Dlgs n. 152 del 2006 attribuisce infatti all'ente di governo dell'ambito, nel rispetto del piano d'ambito di cui all'articolo 149 e del principio di unicità della gestione per ciascun ambito territoriale ottimale, di deliberare la forma di gestione fra quelle previste dall'ordinamento europeo provvedendo, conseguentemente, all'affidamento del servizio nel rispetto della normativa nazionale in materia di organizzazione dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica. L'affidamento diretto può avvenire a favore di società interamente pubbliche, in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per la gestione in house, comunque partecipate dagli enti locali ricadenti nell'ambito territoriale ottimale. Analogamente la legge regionale n. 15 del 2015 di «riordino del servizio idrico integrato ed istituzione dell'Ente idrico campano» non prevede espressamente l'adesione ad una società specifica, ma attribuisce all'ente idrico campano il compito di affidare «per ogni ambito distrettuale, la gestione del Servizio idrico integrato al soggetto gestore sulla base delle indicazioni di ciascun Consiglio di distretto in coerenza con quanto previsto dalla normativa nazionale e comunitaria in materia».

L'individuazione del soggetto gestore è dunque demandata dalla legge regionale alle decisioni dell'ente d'ambito e quindi ad atti di natura amministrativa dallo stesso adottati e non già a «espresse previsioni legislative». Ad avviso dei magistrati campani l'atto deliberativo sarebbe pertanto carente di specifico raffronto costi-benefici che possa giustificare la partecipazione e l'uscita economica sopportata dall'ente (3 euro per abitante) in relazione a:
• efficienza del servizio tramite società mista pubblica privata rispetto al modello gestionale precedente (che non viene menzionato);
• redditività dell'investimento in termini di ritorno economico, in termini di piano economico finanziario e di raggiungimento del «break even point»;
• numero, quantità e modalità di gestione del personale.

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