Amministratori

Servizi locali, nella riforma affidamenti in house solo con motivazione analitica

E si dovrà anche tenere conto dei risultati conseguiti in eventuali precedenti gestioni

di Stefano Pozzoli

Non sono poche le novità per l'in house providing, la cui revisione, del resto, è uno dei primi obiettivi del decreto legislativo - anticipato su Nt+ Enti locali & edilizia del 16 settembre - di riordino della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Se la norma troverà definitiva approvazione, per ricorrere a un affidamento in house diventa necessaria una «una qualificata motivazione che dia espressamente conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato ai fini di un'efficiente gestione del servizi» e si dovrà anche tenere conto dei «risultati conseguiti in eventuali pregresse gestioni in house, tenendo conto dei dati e delle informazioni risultanti dalle verifiche periodiche» (articolo 17).

Il medesimo articolo fa rientrare dalla finestra quella comunicazione preventiva che il Governo aveva proposto nel Ddl concorrenza ma che era stato stralciato nel percorso parlamentare, perché prevede che «Il contratto di servizio è stipulato decorsi sessanta giorni dall'avvenuta pubblicazione, (…), della deliberazione di affidamento alla società in house sul sito dell'Osservatorio per i servizi pubblici locali».

Questa deliberazione sostituisce la relazione prevista dall'articolo 34, comma 20 del Tusp, ma per i servizi pubblici locali a rete, deve comunque essere predisposto un piano economico-finanziario asseverato che, «fatte salve le discipline di settore, contiene anche la proiezione, su base triennale e per l'intero periodo di durata dell'affidamento, dei costi e dei ricavi, degli investimenti e dei relativi finanziamenti, nonché la specificazione dell'assetto economico-patrimoniale della società, del capitale proprio investito e dell'ammontare dell'indebitamento, da aggiornare ogni triennio». Curiosamente, in merito di durata dell'affidamento, viene previsto che «nel caso di affidamento a società in house di servizi pubblici locali a rete, la durata dello stesso non può essere superiore a cinque anni, fatta salva la possibilità per l'ente affidante di dare conto (…) delle ragioni che giustificano una durata superiore al fine di assicurare l'ammortamento degli investimenti» (articolo 19). Si tratta probabilmente di un refuso, perché se la regola fosse quella di un affidamento quinquennale verrebbe da domandarsi le ragioni della applicazione di tale limite solo ai servizi a rete, francamente non si comprenderebbe la revisione triennale del piano.

In ogni caso, «in caso di durata dell'affidamento inferiore al tempo di necessario ad ammortizzare gli investimenti indicati nel contratto di servizio ovvero in caso di cessazione anticipata, è riconosciuto in favore del gestore uscente un indennizzo, da porre a carico del subentrante, pari al valore contabile degli investimenti non ancora integralmente ammortizzati».

I Comuni che vogliano effettuare affidamenti in house sono anche investiti di pesanti impegni burocratici e, a volte, di inutili duplicazioni. Anzitutto i comuni devono adottare «un regolamento ovvero un atto generale in cui predefiniscono condizioni, principi, obiettivi e standard della gestione (…) assicurando la trasparenza e la diffusione dei dati della gestione». Ancora, dovranno effettuare la ricognizione periodica della situazione gestionale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica nei rispettivi territori, evidenziando l'entità del ricorso all'affidamento a società in house e gli oneri e l'impatto economico-finanziario che ne derivano. Tale ricognizione dovrà essere aggiornata annualmente (articolo 30) e comunque nella periodica delle partecipazioni (articolo 20 del Tusp), si dovrà dare conto «delle ragioni che, sul piano economico e della qualità dei servizi, giustificano il mantenimento dell'affidamento del servizio a società in house, anche in relazione ai risultati conseguiti nella gestione» (articolo 17). Non basta una relazione soltanto?

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