Personale

Smart working, nella pubblica amministrazione ritorna l'accordo individuale

La prima mossa arriverà con il Dpcm che tornerà a rendere «ordinaria» la presenza in ufficio dei dipendenti pubblici alla luce dell’obbligo di Green Pass sui luoghi di lavoro

di Gianni Trovati

Lo Smart Working nella Pubblica amministrazione tornerà a passare dall’accordo individuale. La prima mossa arriverà a stretto giro, con il Dpcm che tornerà a rendere «ordinaria» la presenza in ufficio dei dipendenti pubblici alla luce dell’obbligo di Green Pass sui luoghi di lavoro. Il decisione, anticipata sul Sole 24 Ore del 1° settembre e scritta nel decreto che sarà approvato oggi dal consiglio dei ministri per tradurre in pratica la linea concordata tra il premier Mario Draghi e il ministro per la Pa Brunetta, è la leva per il cambio di rotta.

In pratica, con il ritorno «ordinario» in presenza, l’alternativa rappresentata dal lavoro agile tornerà a essere regolata dall’intesa individuale prevista prima della crisi pandemica, senza attendere la fine dello stato di emergenza oggi prevista al 31 dicembre. Le dimensioni dell’applicazione dello Smart Working saranno a disposizione dell’autonomia delle singole amministrazioni, in un quadro normativo che è già stato sgombrato dalle percentuali minime da garantire con l’eccezione del 15% (sempre calcolato sui dipendenti impegnati in attività in cui la presenza non è imprescindibile) che sopravviverà poi per chi non adotterà i Piani organizzativi del lavoro agile (Pola) all’interno dei futuri «piani integrati» di attività e organizzazione.

L’accordo individuale troverà nei nuovi contratti nazionali dei dipendenti pubblici la disciplina a regime. Lì, come mostra la bozza presentata ieri dall’Aran ai sindacati nella trattativa sul contratto delle Funzioni centrali (ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici), si fisseranno meccanismi e contenuti dell’accordo individuale, che potrà essere anche a tempo indeterminato ma prevederà la possibilità di revoca unilaterale senza preavviso in caso di «giustificato motivo».

L’intesa individuale dovrà indicare le giornate dedicate al lavoro a distanza e quelle in cui è prevista la presenza in ufficio, fissare le «modalità di esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro» ma anche «le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore» nei periodi della giornata in cui il lavoro non potrà fare capolino. Nell’intesa saranno poi definite puntualmente per ogni lavoratore le tre fasce previste fin dalle bozze di luglio: quella di «operatività», in cui si colloca l’attività piena, quella di «reperibilità», in cui si mantiene la possibilità di essere contattati via telefono o mail, e quella di «inoperabilità» che coincide con le 11 ore consecutive di riposo da assicurare a ogni dipendente. Fasce che però torneranno in discussione, per le critiche sindacali a una reperibilità giudicata troppo ampia oltre il classico orario d’ufficio.

Nel nuovo testo scritto per le Funzioni centrali, che come sempre anticipa sulla parte ordinamentale i principi da applicare anche agli altri settori della Pa, il lavoro agile incontra una disciplina di dettaglio, che in linea con l’atto di indirizzo tratta lo Smart Working non come un «diritto soggettivo» del dipendente ma come una misura organizzativa della Pa.

Il decreto governativo sul Green Pass e il contratto nazionale che per la prima volta si concentra anche sul lavoro agile non sono in contraddizione. Perché l’obiettivo del governo è il superamento del lavoro a distanza emergenziale, e non la cancellazione integrale dello Smart Working.

Ma l’equilibrio non è semplice da trovare per chi vuole valorizzare gli aspetti positivi dell’esperienza nata dal Covid senza far ripiombare il lavoro agile nel ruolo del tutto marginale che aveva prima, ma senza nascondere i forti problemi organizzativi e di verifica vissuti in questi mesi. La bozza dell’Aran, che ovviamente non è definitiva perché sottoposta al confronto con i sindacati, per ora conferma la corsia preferenziale da riservare ai «lavoratori in condizioni di particolare necessità», come ad esempio i portatori di handicap, i caregiver o i genitori di figli fino a 3 anni. Un’indicazione che fa storcere il naso ai sindacati perché sembra fotografare lo Smart Working come strumento solo assistenziale per particolari categorie. Di questi temi si tornerà a parlare nelle riunioni già messe in programma per il 22 e 23 settembre con l’obiettivo di lavorare su un testo complessivo.

Nella pratica molto dipenderà da come le amministrazioni decideranno di usare la propria autonomia (la soglia del 15%, che resterà in vigore, sarà un limite minimo) nell’utilizzo dell’accordo individuale, che sarà l’architrave delle nuove regole e andrà sottoscritto «ai fini della regolarità amministrativa e della prova».

Il suo compito sarà quello di adattare alla realtà di ogni ufficio le modalità di svolgimento del lavoro agile e i poteri di verifica da parte dei dirigenti. Le regole di base riprendono la legge 81/2017, con la possibilità di recesso con preavviso di almeno 30 giorni che salgono a 90 nel caso di lavoratori disabili. Ma con la possibilità di una chiusura anticipata per gli accordi a tempo determinato, e comunque senza preavviso per quelli a tempo indeterminato, quando interverrà un «giustificato motivo».

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