Fisco e contabilità

Società controllate chiamate alla verifica dell'unbundling contabile

L'obbligo di separazione contabile riguarda servizi di interesse economico generale protetti da diritti speciali o esclusivi

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di Daniela Ghiandoni e Elena Masini

Il decreto legislativo 175/2016, all'articolo 6, comma 1, ha imposto uno specifico obbligo di separazione contabile (cosiddetto "unbundling") alle società a controllo pubblico non quotate che erogano servizi di interesse economico generale protetti da diritti speciali o esclusivi, oltre ad attività svolte in regime di normale economia di mercato. Per «diritti speciali ed esclusivi» bisogna fare riferimento alle norme e ai principi europei (Tfue 2016 e Direttiva 2014/25 Ue) che li definiscono attività o servizi il cui svolgimento in una determinata area geografica è stato riservato da un ente pubblico a una impresa o a poche imprese mediante una legge, un regolamento o un atto amministrativo. L'unbundling consente di derogare all'obbligo di separazione societaria, introdotto dalla legge Antitrust del 1990 (articolo 8, comma 2-bis, legge 287/1990) con lo scopo di evitare che la competizione di mercato venga distorta dalla presenza di operatori che godono di privilegi su determinati territori.

La concreta attuazione di questo nuovo obbligo, che trova applicazione a partire dall'esercizio 2020, è contenuta nella Direttiva sulla separazione contabile del 9 settembre 2019 redatta dalla Struttura di monitoraggio prevista dall'articolo 15 del Tusp. Le società interessate devono corredare il bilancio 2020 con i conti annuali separati prodotti secondo la Direttiva Mef, dopo averli sottoposti al giudizio di conformità da parte del soggetto incaricato della revisione legale dei conti.

La norma non individua alcuna soglia al di sotto della quale l'attività svolta in regime di economia di mercato possa assumere carattere irrilevante, con conseguente decadenza dall'obbligo di separazione contabile. Di conseguenza ci si interroga se tale obbligo debba applicarsi anche alle società in house, nonostante che le stesse svolgano un'attività «sostanzialmente destinata in via esclusiva» a favore delle amministrazioni socie, anche in virtù dei limiti introdotti dall'articolo 16, comma 3-bis, del Testo unico (limite del 20% dei ricavi afferenti le attività dirette a soggetti non soci, utili a conseguire economie di scala o altri recuperi di efficienza sul complesso dell'attività principale della società).

Il dubbio sorge in quanto la relazione illustrativa al Testo unico si riferisce a una nozione più ampia di diritto speciale o esclusivo rispetto a quella espressa dal Consiglio di Stato, il quale faceva riferimento all'opportunità di coordinare la nozione di diritto speciale o esclusivo con il Dlgs 50/2016 (che circoscrive la nozione di diritti esclusivi o speciali alle attività svolte in specifici settori: gas, energia termica, elettricità, etc. ed esclude le attività affidate tramite gara ad evidenza pubblica).

Su questo nuovo adempimento occorre quindi che si faccia chiarezza, perché, se il legislatore avesse voluto imporre l'obbligo di unbundling contabile previsto dal Tusp anche alle partecipate in house, avrebbe dovuto utilizzare una terminologia più appropriata, ricomprendendo nel perimetro normativo anche quelle società che ricevono affidamenti diretti (anche a seguito di confronto competitivo - articolo 192 codice contratti), ma che svolgono attività di mercato sostanzialmente discontinue e residuali.

Dall'altro canto, però, va detto che l'introduzione di un metodo di separazione contabile nelle società in house consentirebbe una corretta imputazione dei costi a ogni singolo servizio o attività svolto dalla società, utile a determinare un equo corrispettivo a carico del socio affidante. L'occasione di poter far chiarezza e di introdurre delle regole coordinate con gli adempimenti di separazione contabile già previsti da Arera, in un giusto rapporto di costi-benefici per le aziende, non deve essere sprecata.

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