Il CommentoAmministratori

Società, i tetti ai compensi non decidano la governance

di Stefano Pozzoli

Un elemento su cui riflettere, nel regolamento sui compensi preparato dal Mef (che potrebbe continuare l’iter nonostante la crisi) è l’equilibrio tra indennità di amministratore delegato, presidente e dirigenti.

Il tema non è solo di equità dei tetti, penalizzanti per il presidente senza deleghe che se la società cade nella ultima fascia (fino a 30 milioni di fatturato, meno di 50 milioni di attivo e non oltre 100 dipendenti), quindi nella stragrande maggioranza dei casi, ha diritto a un massimo di 15mila euro contro i 120mila dell’ad e di un dirigente.

Questa scelta nasce non solo dalla preferenza manifestata dal Tusp di avere un uomo solo al comando (ovvero un amministratore unico, secondo l’articolo 11, comma 2) quanto dall’organizzazione spesso diversa delle società statali rispetto a quelle degli enti locali. Nelle prime, quando di piccole dimensioni, ha infatti una grande diffusione una governance imperniata su un amministratore delegato o unico che, in sostanza, riveste un ruolo operativo, ed è quindi assente la figura del direttore generale. Nelle società degli enti locali, al contrario, si ritrovano spesso dei cda senza amministratore delegato, a fronte del quale è presente un direttore generale. Questa tradizione riprende gli assetti dell’azienda municipalizzata, il modello originario di azienda comunale.

Non è il caso qui di discutere i pro e dei contro teorici di questi modelli. Senza voler generalizzare, però, le società degli enti locali, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, hanno bisogno di stabilità e di orientamento al lungo periodo, cose che la volatilità degli amministratori non è in grado di assicurare. È quindi necessaria la figura del direttore generale, e certamente non si ha bisogno di una maggiore permeabilità a figure di ispirazione più politica che manageriale, quali spesso sono gli amministratori.

È bene sottolineare che la fissazione dei compensi di amministratori con e senza deleghe influenzerà le scelte di governance delle società, probabilmente in modo più sensibile di quanto oggi ritengono i redattori del regolamento. È probabile, infatti, che diventerà più frequente la figura dell’ad e che si avrà la tentazione di dare delle deleghe anche ai presidenti, a scapito di quella figura stabilizzante che è il dg.

Il consiglio è quindi di rivedere al rialzo i compensi del Presidente del cda, non tanto “in cambio” di deleghe ma, al contrario, proprio privilegiandone il ruolo di rappresentanza. Tra l’altro la previsione del regolamento in cui si cui parla del “baratto” (articolo 3, comma 4) è poco chiara, visto che non si comprende se la remunerazione delle deleghe si aggiunge al fisso tabellare o lo ricomprende. Foriera di ulteriori conflitti, poi, è la previsione che per il presidente si possa andare oltre il previsto 30% del compenso dell’ad solo detraendo a quest’ultimo pari importo. Non sarebbe più semplice cancellare questa previsione e alzare il tetto delle indennità per il presidente? Che vengano attribuite deleghe o meno lo deciderà l’assemblea dei soci, senza che questo diventi una modalità barocca di alzare i compensi. Dobbiamo adeguare le indennità degli amministratori, non rivoluzionare gli assetti di governance delle società. Questo, se del caso, spetta farlo ai soci.