Sostegni bis, aiuto anti-default da 500 milioni ma solo a 320 enti su 800 a rischio
Di Maio rilancia: salva-conti da ripescare in Parlamento. Per la riduzione della Tari alle attività chiuse 600 milioni, altri 500 per il trasporto pubblico
Il lungo travaglio tecnico e politico per salvare dal dissesto gli oltre 800 Comuni a rischio crack dopo la sentenza della Consulta che ha cancellato il ripiano in 30 anni dei deficit prodotti dai prestiti per pagare le vecchie fatture è destinato ad accompagnare il decreto sostegni-bis in Parlamento.
Alla fine, nel testo approvato ieri si è deciso di riservare alle amministrazioni più colpite 500 milioni inizialmente destinati a rifinanziare il fondo per gli enti in deficit strutturale. Ma senza un intervento più ampio, al momento saltato in extremis (NT+ Enti locali & edilizia di ieri) per evitare il rischio di scrivere la terza norma incostituzionale sullo stesso tema, la misura non basta. Tanto è vero che lo stesso decreto rinvia al 31 luglio i bilanci preventivi e consuntivi di tutti gli enti interessati in varia misura dal problema (sono circa 1.400, di cui 800 appunto finiti sull’orlo del fallimento), con l’intenzione di ripescare nella legge di conversione un salvagente definitivo. «Sarà necessario intervenire nuovamente, e lo faremo», sottolinea la viceministra all’Economia Laura Castelli. E Luigi Di Maio spiega che l’ombrello andrà «ulteriormente rafforzato in Parlamento». Perché l’elenco dei Comuni a rischio crack, che si apre con Torino e Napoli (qui le cause di possibile dissesto sono molteplici) e prosegue con amministrazioni di tutti i colori politici, crea un problema enorme alla vigilia delle amministrative di autunno che coinvolgono oltre mille Comuni e all’avvio del Recovery Plan che negli enti locali ha uno snodo chiave.
Per ora, i 500 milioni sono riservati ai casi più gravi, dove la drastica riduzione (da 30 anni a 3, o comunque entro la fine dei mandati amministrativi) dei tempi per coprire il deficit da anticipazioni di liquidità imporrebbe di accantonare una somma superiore al 10% delle entrate correnti 2019. Un caso che riguarda solo 320 Comuni dei 1.400 investiti dalla sentenza (tra cui Napoli che potrebbe ricevere circa 185 milioni), ed esclude 180 amministrazioni in disavanzo oltre alle 900 non in rosso. Peraltro non è chiaro che cosa il gruppo di Comuni “aiutati” dovrebbe fare con queste somme, visto che nessuno ha fin qui specificato le modalità di ripiano del nuovo disavanzo. E non è chiaro che cosa dovrebbero fare gli altri, dove il colpo non raggiunge il 10% delle entrate e quindi il nuovo fondo non arriva. Per ora il problema viene congelato con il rinvio dei bilanci al 31 luglio, che comporta in pratica un obbligo prolungato di gestione in dodicesimi piuttosto problematico per il rilancio di programmi e investimenti, nell’attesa di sviluppi. A completare il cortocircuito c’è il fatto che il decreto di riparto dei 500 milioni dovrebbe arrivare secondo le bozze «entro 30 giorni dalla data di conversione» del decreto. Cioè dopo il 31 luglio. Curiosamente, il decreto ripropone un altro miliardo di nuove anticipazioni sblocca-debiti, con un’offerta che per trovare clienti avrà però bisogno di qualche certezza sulla gestione contabile di questi prestiti.
Per il resto, le misure sugli enti locali nel nuovo decreto che nel complesso valgono 2,2 miliardi hanno avuto una navigazione più tranquilla. Per consentire ai Comuni di alleggerire la Tari richiesta alle attività chiuse o semi-chiuse dalle restrizioni anti-Covid dei primi mesi 2021 viene istituito un fondo da 600 milioni. A guidare il riparto saranno le stime sull’agevolazione massima per ciascun Comune contenute nel Dm sulla certificazione dei fondi Covid.
Altri 500 milioni vengono destinati alla replica della «solidarietà alimentare», l’aiuto comunale alle famiglie più povere che ora si occuperà anche di affitti e bollette oltre che delle spese di prima necessità. I fondi saranno distribuiti per metà in rapporto alla popolazione, e per l’altra metà in base alla distanza fra il reddito pro capite nel Comune e la media nazionale.
Altri 450 milioni alle Regioni servono a rinforzare le linee più affollate del trasporto pubblico, anche con l’aiuto dei privati, e 50 milioni vanno ad aziende e Pa per scaglionare gli orari di lavoro (ma bisogna avere il mobility manager). Per compensare l’imposta di soggiorno ci sono altri 100 milioni.
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di Stefano Baldoni (*) - Rubrica a cura di Anutel