Personale

Stipendi sotto media del 20% - La rivolta degli enti locali

I presidenti Fedriga (Regioni), Gandolfi (Province) e Manfredi (Comuni) scrivono al Governo dopo gli aumenti ai ministeriali dell’ultimo decreto Pa: «Cambiare rotta»

di Gianni Trovati

Il confronto con ministeri e agenzie fiscali ormai è impietoso. E inquadra i 400mila dipendenti di Regioni ordinarie, Comuni, Province e Città metropolitane come il ramo cadetto dell’amministrazione, una sorta di serie B dell’impiego pubblico. Lo fa, per di più, con l’unità di misura più diretta, quella dello stipendio: che negli enti territoriali viaggia ora in media intorno al 20% sotto i livelli raggiunti nella Pa centrale.

Nasce da qui la rivolta degli amministratori, che hanno scritto ai ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti, della Pa Paolo Zangrillo e degli Affari regionali Roberto Calderoli per chiedere a chiare lettere di invertire la rotta.

Ad accendere le polemiche è stata l’ultima versione del decreto sulla Pa, approvato dieci giorni fa in consiglio dei ministri ma ancora in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che dedica 190 milioni all’anno (Sole 24 Ore del 25 febbraio) all’obiettivo di allineare le retribuzioni dei ministeri e quelle, più ricche, delle agenzie fiscali, ma non si occupa degli enti territoriali. Il fondo genera «un’ulteriore disparità di trattamento», ha scritto nella lettera inviata al Governo il presidente della conferenza delle Regioni Massimiliano Fedriga, «nei confronti del personale che opera in Regioni, Province autonome e sanità, con conseguente aumento del gap di competitività» di questi settori. Il «livello retributivo complessivo minore – hanno sottolineato in una lettera congiunta i presidenti dell’Anci, Gaetano Manfredi, e dell’Upi, Pasquale Gandolfi, si registra «a fronte di maggiori responsabilità ed incombenze», aggravando «la principale causa della ridotta capacità attrattiva» degli enti locali.

Fedriga è un esponente di primo piano della Lega, Manfredi e Gandolfi sono del Pd, ma come capita spesso negli enti territoriali l’evidenza della realtà taglia i confini dell’appartenenza politica. Anche perché, tradotto dal linguaggio istituzionale, l’allarme suona ancora più chiaro: se nei nostri uffici la pressione dei cittadini è maggiore e gli stipendi sono minori, è la sintesi, chi può scappa verso un ministero, un’agenzia fiscale o un posto di lavoro privato, e i nostri organici continuano a perdere peso mentre gli impegni ordinari e quelli straordinari del Pnrr premono sempre di più.

Oltre che evidente, il problema è confermato dai numeri. Nel 2022, secondo le tabelle dell’Aran, lo stipendio medio reale di un dipendente locale privo dei galloni dirigenziali si fermava a 31.607 euro lordi all’anno, cioè il 18,9% in meno rispetto alle cifre in gioco nelle amministrazioni centrali (-10,4% rispetto ai ministeri, -26,1% rispetto alle agenzie fiscali). Nel frattempo, però, la situazione è cambiata. A senso unico. Perché, a differenza dei loro colleghi di ministeri e agenzie fiscali, i dipendenti di Regioni ed enti locali non hanno visto il rinnovo del contratto 2022/24, e (come la sanità) difficilmente lo vedranno a breve perché Cgil e Uil, contrarie alla firma, hanno da sole la maggioranza nel comparto; non hanno ricevuto il doppio incremento dell’indennità ministeriale (l’ultimo è finito in Gazzetta Ufficiale il 7 febbraio scorso) perché negli enti locali l’indennità ministeriale ovviamente non c’è. E non avranno la nuova spinta offerta dal decreto Pa, perché nel loro caso il limite che impedisce ai fondi per i contratti integrativi di superare i livelli del 2016, introdotto nove anni fa in via provvisoria e poi pietrificato come spesso capita in Italia, è sacro e indiscutibile.

Risultato: oggi lo spread stipendiale fra il centro e la periferia dell’amministrazione viaggia sopra il 20% (15-16% nel confronto con i ministeri, circa il 30% con le agenzie), e promette di crescere ancora con l’«allineamento» deciso nel decreto Pa: moltiplicando le rinunce e le mobilità di chi, potendo, sceglie di abbandonare la serie B per trasferirsi in altri settori.

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