Appalti

Subappalti, no all'abuso d'ufficio sui controlli delle partecipazioni

A questa conclusione arriva la Cassazione che ha annullato la condanna inflitta in primo grado e confermata in appello nei confronti di un Rup

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di Giovanni Negri

Non può essere sanzionato per abuso d’ufficio il responsabile unico del procedimento che in un subappalto non ha rilevato il conflitto d’interessi tra le società coinvolte per effetto di una compartecipazione. A questa conclusione arriva la Cassazione con la sentenza 1606 della Sesta sezione penale che ha così annullato la condanna inflitta in primo grado e confermata in appello nei confronti di un Rup che aveva autorizzato un subappalto, procedura nella quale era poi stato accertato che il direttore dei lavori della società appaltatrice aveva una quota di compartecipazione nella ditta subappaltatrice.

La Cassazione, ricorda che, anche dopo la riforma dell’abuso d’ufficio arrivata nell’estate del 2020, la violazione di norme contenute in regolamenti può assumere rilevanza penale se queste contribuiscono a meglio specificare sul piano tecnico regole di condotta già definite dalla norma primaria. Secondo l’orientamento del Consiglio di Stato, poi, l’autorizzazione alla conclusione di un subappalto deve essere considerata come espressione di un pubblico potere e non come manifestazione di autonomia del soggetto contraente.

Tuttavia, per la Cassazione, l’articolo 10 del decreto legislativo 163 del 2006 che inquadra i compiti del responsabile unico, non prevede un obbligo di verifica sull’assetto societario della ditta subappaltatrice, «non essendo, peraltro, previsti correlati oneri di comunicazione a riguardo da parte della ditta appaltatrice alla stazione appaltante, nè, d’altra parte tale specifico obbligo di controllo si desume dalle condizioni previste per il rilascio dell’autorizzazione al subappalto».

Neppure può essere valorizzato nella prospettiva dell’accusa l’articolo 10 comma 1 , lettera r), del Dpr 207 del 2010, in base al quale il Rup deve vigilare sulla concessione di lavori pubblici, accertando il rispetto delle prescrizioni contrattuali: queste ultime infatti, ricorda ora la Cassazione, non coinvolgono in alcun modo l’assetto societario dell’impresa subappaltante.

Per la Cassazione così non hanno fondamento le motivazioni della Corte d’appello che si è limitata riproporre la motivazione per cui «già solo il fatto che il subappalto andasse autorizzato, implica che poteva non esserlo» e che l’autorizzazione dipendeva dall’esito dei controlli che il Rup avrebbe dovuto eseguire.

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