Fisco e contabilità

Tassa rifiuti, si paga anche in caso di assimilazione solo qualitativa

La mancanza del criterio quantitativo nel provvedimento comunale non comporta l'esonero dal pagamento

di Giuseppe Debenedetto

La mancanza del criterio quantitativo nel provvedimento comunale di assimilazione dei rifiuti non comporta l'esonero dal pagamento della tassa rifiuti ma solo una riduzione tariffaria in base a criteri di proporzionalità.

Lo ha stabilito la Cassazione con la decisione n. 15983/2020, componendo l'apparente contrasto giurisprudenziale esistente sulla questione relativa alle conseguenze derivanti dal non corretto esercizio del potere di assimilazione dei rifiuti speciali agli urbani.

Nel caso in questione una società leader nella produzione di elettrodomestici ha impugnato gli avvisi di accertamento Tarsu 2011 e 2012 ritenendo non dovuta la tassa poiché la delibera comunale di assimilazione non indicava i limiti quantitativi dei rifiuti. Sul punto la Cassazione ha rilevato la presenza di pronunce in apparente contrasto, che per un verso ritengono necessario individuare le caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti speciali da assimilare agli urbani (Cassazione n. 30719/2011, n. 9631/2012 e n. 18018/2013). Per altro verso è stato invece affermato che le superfici produttive di rifiuti speciali assimilati sono comunque soggette a tassazione, pur in mancanza dei parametri quantitativi e qualitativi, spettando al contribuente solo una riduzione tariffaria in base a criteri di proporzionalità (Cassazione n. 9214/2018).

I due orientamenti si possono però comporre equiparando l'esercizio illegittimo del potere di assimilazione al mancato esercizio del potere medesimo, rispetto al quale la Cassazione ha già affermato che ciò non comporta l'esenzione dalla tassa ma l'applicazione di una tariffa ridotta in caso di rifiuti speciali smaltiti in proprio dal contribuente (Cassazione n 1975/2018).

Nella specie il Comune aveva individuato solo criteri qualitativi e non anche quantitativi dei rifiuti assimilati, per cui non aveva esercitato correttamente il potere attribuito allo stesso. Questo per la Cassazione non comporta comunque l'inapplicabilità del tributo ma solo l'esenzione della parte in cui si formano in via esclusiva rifiuti speciali non assimilati.

La Cassazione si pronuncia così su una questione controversa, riguardante il provvedimento comunale di assimilazione, che rende il rifiuto speciale equivalente a quello urbano sia ai fini del conferimento al servizio pubblico e sia ai fini della tassazione. Finora i Comuni hanno esercitato il potere di assimilazione sulla base di una deliberazione del Comitato Interministeriale del 27 luglio 1984 (contenente un elenco di sostanze assimilabili), che rappresenta l'unica norma di riferimento dello Stato in materia di assimilazione, in attesa dell'apposito decreto ministeriale previsto dall'articolo 195 del Dlgs 152/2006 (codice ambientale).

Tre anni fa è pure intervenuto il Tar Lazio che con sentenza n. 4611/2017 ha ordinato al ministero dell'Ambiente di adottare entro 120 giorni il decreto in questione. Ma il Dm non è stato mai adottato anche perché nel frattempo è emersa l'esigenza di recepire le direttive Ue sull'economia circolare approvate nel 2018. In particolare lo schema di decreto legislativo (atto n. 161), già approvato in via preliminare dal Governo a marzo di quest'anno e ora in dirittura d'arrivo, modifica la definizione di rifiuto urbano ricomprendendo oltre ai rifiuti domestici anche quelli «provenienti da altre fonti», facendo riferimento ad un elenco di attività che in sostanza corrisponde alle 30 categorie di attività economiche attualmente assoggettate alla Tari, ma senza più limiti quantitativi. In questa nuova logica di assimilazione estensiva, non più operata attraverso delibere comunali, si profila quindi un allargamento delle attività tenute al pagamento della Tari ma anche un ampliamento del servizio che i comuni devono essere in condizioni di garantire.

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