Fisco e contabilità

Tributi comunali, per il mancato incasso incorre in responsabilità anche il politico

Condannati sindaco, assessore e dirigenti, compreso l'amministratore della società partecipata

di Claudio Carbone

La gestione inefficiente dell'ufficio tributi che determina il mancato incasso delle entrate comunali, comporta responsabilità non soltanto per il personale dirigenziale, ma anche per gli amministratori. È quanto emerge dalla sentenza n. 62/2022 della Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale dell'Umbria, che ha condannato sindaco, assessore e dirigenti, compreso l'amministratore della società partecipata, a rifondere il Comune per il vuoto creato nella casse comunali.

Sul presupposto che la corretta gestione delle entrate è fondamentale per l'ente locale anche al fine di perseguire un bilancio in equilibrio e obiettivi di sana finanza pubblica locale, il giudice contabile ha ritenuto configurarsi la responsabilità rispettivamente per:
• gli amministratori comunali per non aver approvato un quadro regolamentare puntuale in grado di definire compiutamente il riparto di compiti e le competenze tra Comune e società partecipata, risultando invece, caotico e incerto;
• i funzionari amministrativi in quanto non si sono attivati per sollecitare i chiarimenti necessari, né hanno agito per la riscossione delle somme dovute dai contribuenti.

La Corte dei conti con la richiamata sentenza, qualificando la natura dell'illecito contabile quale debito di valore, inoltre, ha addebitato gli interessi legali sulla somma rivalutata da corrispondere anno per anno, dal momento della liquidazione.

Dalla ricostruzione dei fatti emerge che la riscossione delle entrate locali diventa un obbligo per l'ente sotto il profilo del facere e delle modalità. L'imperativo è non solo "fare", ma "fare bene". Tale responsabilità si estende agli amministratori nel momento in cui non assumono le necessarie iniziative di indirizzo ovvero pur adottandole non si preoccupino di verificarne l'esito. Viene in mente a proposito il monito del Procuratore generale della Corte dei conti che alla cerimonia di inaugurazione dell'anno giudiziario 2017 aveva posto in risalto come a fronte di 1.507 citazioni in giudizio notificate nel corso del 2016, 128 si riferivano a mancate riscossioni di entrate. Il tutto perché la riscossione delle entrate deve sempre essere svolta con attenzione ed efficienza, dalla fase di accertamento alla fase coattiva finale e gli enti devono incentrare le loro forze su questo adempimento necessario e spesso non diretto con la massima attenzione.

Il giudice contabile, infatti, interpreta in modo estensivo le fattispecie di danno erariale sulla base della nozione di bene pubblico, volto a comprendere la lesione dell'interesse pubblico generale all'equilibrio economico e finanziario. Si tratta, secondo la Corte, di danni a beni che non appartengono al patrimonio dello Stato come entità superiore, ma a tutti i membri indifferenziati della collettività. Tale responsabilità si configura non solo a fronte di danni subiti direttamente dall'amministrazione ma anche quando il danno sia stato subito indirettamente dalla Pubblica amministrazione. E la giurisprudenza ha sempre ribadito che la dilatazione del concetto di bene e di patrimonio pubblico, purché affidato in cura ad un apparato pubblico ed economicamente valutabile, deve essere accuratamente sorvegliato ed efficientemente svolto per garantire il miglior risultato possibile.

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