Amministratori

Utility italiane pronte a investire 50 miliardi per sbloccare il Paese

È la proposta lanciata da Utilitalia, la federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici locali (acqua, ambiente, energia elettrica e gas)

di Cheo Condina

Un maxipiano di investimenti da 50 miliardi di euro nei prossimi cinque anni che possono contribuire in modo “rilevante” al rilancio dell’economia italiana, generando un impatto positivo sul Pil (3,6%) e sull’occupazione con la creazione stimata di 345-400mila posti di lavoro su scala nazionale, di cui oltre un terzo al Sud. È questa, in sintesi, la proposta lanciata da Utilitalia, la federazione che riunisce le aziende operanti nei servizi pubblici locali (acqua, ambiente, energia elettrica e gas) in un’approfondita analisi che mostra non solo il fabbisogno di capitali pianificato dalle utility per il prossimo quinquennio, ma anche le giuste condizioni, regolatorie e di sistema (in primis incentivi e sburocratizzazione), che l’esecutivo deve mettere in campo affinché investimenti e progetti infrastrutturali possano essere effettivamente messi a terra.
Il documento, realizzato insieme con la Fondazione Utilitatis e con il supporto di PwC, verrà indirizzato a tutte le principali istituzioni pubbliche italiane, tra cui Governo e Parlamento, e — come riportato da Radiocor — candida così le utility a volano per la ripartenza del Paese dopo il Covid, in particolare per il Mezzogiorno considerato il divario infrastrutturale che quest’ultimo deve colmare con il resto del Paese.
Del resto, si osserva, le utility rappresentano «un settore strategico per l’Italia» e già oggi producono un fatturato complessivo di 42 miliardi e danno lavoro diretto a 130mila persone. Se durante la pandemia il settore ha mostrato “resilienza”, ora per Utilitalia è momento di fare un passo in avanti, considerato peraltro che la gestione di servizi essenziali come energia, acqua o ambiente è da considerarsi chiave per comparti come l’industria o il turismo e dunque «una precondizione per qualsiasi sviluppo competitivo del sistema Paese».

Le due fasi

Premesso che le utility non intendono tagliare i Capex a causa della crisi legata al Covid, di che numeri stiamo parlando e quali settori necessitano di capitali freschi per crescere?
Le stime condotte da Utilitalia evidenziano un fabbisogno di investimenti compreso tra 44 e 52 miliardi per i prossimi cinque anni: di questi 25-30 miliardi per il settore idrico, 12-14 miliardi per i servizi energetici e 7-8 miliardi per la filiera ambientale.
Utilitalia propone un intervento in due fasi.
Subito bisogna «pianificare azioni idonee a traghettare il settore oltre la fase acuta della crisi» con varie misure tra cui interventi a sostegno della generazione elettrica e della gestione dei rifiuti, puntando sulla semplificazione procedurale, su tempistiche agili in termini autorizzativi e su ulteriori incentivi alle aggregazioni.
In una seconda fase, invece, serviranno «azioni volte a favorire il percorso di rilancio e di traino per l’economia del Paese», rappresentate da stimoli per l’industrializzazione del comparto energetico (rilanciando l’idroelettrico) ed ambientale, in cui servono «regole certe e chiare», senza dimenticare le reti gas e quelle idriche, in cui va risolto il cronico problema delle perdite, soprattutto al Sud.
Il tutto sempre con un occhio di riguardo per rinnovabili e sostenibilità, che le priorità di ripresa economica dopo la drammatica crisi del secondo trimestre potrebbero far passare in secondo piano.
Per questo, secondo Utilitalia, lo Stato deve continuare a mettere in campo incentivi per gli investimenti sulla generazione “verde” e sull’efficienza energetica.
Il tema del Mezzogiorno, legato in particolare allo specifico fabbisogno di investimenti nel servizio idrico integrato per ridurre il gap infrastrutturale col resto d’Italia e per migliorare la qualità del servizio, ha un ruolo rilevante nel documento di Utilitalia.

Sud, acqua, investimenti

Secondo uno specifico approfondimento elaborato da PwC per l’associazione, se verranno confermate le previsioni medie nazionali per il periodo 2018-2019 (riportate nel Blue Book) ci si attesterà a 53 euro investiti per abitante: un dato ben distante dalla media europea (90 euro) e che rischia di replicare il gap tra Centro Nord e Sud già registrato nel 2017 quando erano stati consuntivati rispettivamente 39 euro e 26 euro, a maggior ragione considerato che sempre al Mezzogiorno ad oggi restano 1.650 Comuni che gestiscono il servizio idrico direttamente con Capex ridotti al lumicino (4 euro). I ridotti investimenti influenzano inevitabilmente le performance del servizio di acquedotto che ha registrato perdite di rete nel Sud ed Isole di oltre il 50% rispetto a una media nazionale del 42% che scende al 32% nel Nord Ovest; il tutto a fronte di tariffe applicate nel Mezzogiorno in media più alte che al Nord e con una limitata componente a copertura degli investimenti.
È proprio alla luce di questo quadro che, si stima, realizzare gli investimenti adeguati per colmare il gap infrastrutturale del Sud porterebbe benefici teorici per i prossimi 5 anni stimabili da 3,5 a 7,5 miliardi.
Ma per abilitare questa imponente mole di capitali, concludono gli strategist del Power & Utilities di PwC, bisogna fare evolvere l’assetto organizzativo dell’idrico nel Mezzogiorno, superando le gestioni in economia e definendo invece un gestore unico del servizio nelle Regioni in cui ciò non è stato ancora fatto.

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