Amministratori

Silenzio assenso della Pa, basta il decorso del termine anche se mancano i requisiti di validità della domanda

Svolta del Consiglio di Stato sul tema in relazione alle istanze dei privati

di Pippo Sciscioli

Svolta del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5746/2022, in tema di formazione del silenzio assenso della Pubblica amministrazione sulle istanze dei privati, specie se si tratta di operatori economici. É sufficiente soltanto il decorso del termine assegnato all'ente dalla normativa di riferimento in relazione al tipo di istanza del privato (per esempio, 60 giorni per il permesso di costruire in base all'articolo 20 del Dpr 380/2001) perché si formi il silenzio assenso, anche in assenza dei requisiti di validità della domanda fissati dalla legge e delle condizioni per ottenere legittimamente il provvedimento espresso.
É comunque necessario che l'istanza sia aderente al modello normativo astratto prefigurato dal modello normativo astratto prefigurato dal legislatore.

Con la conseguenza che, spirato il termine, si consuma il potere della Pa di provvedere, residuando invece solo quello di intervenire in autotutela sul silenzio così formatosi e comunque alle condizioni fissate dall'articolo 21-nonies della legge 241/1990, a cominciare dal limite temporale massimo di dodici mesi introdotto dal Dl 76/2020. Questo, in nome della semplificazione amministrativa e dello snellimento burocratico ritenuti una delle cause di mancanza di certezza dei tempi per l'avvio di un'attività economica dei privati

Insomma una brusca inversione di tendenza nell'orientamento della giurisprudenza amministrativa, decisamente in favore dei privati a volte ostaggio dell'inerzia degli uffici pubblici.

La sentenza smentisce di fatto la tesi sostanzialista e sinora dominante nella giurisprudenza, che richiedeva non solo il decorso del termine a disposizione della Pa per riscontrare l'istanza ma anche la presenza dei requisiti di validità della stessa.

Si tratta ora di verificare il reale seguito della nuova tesi, che di fatto ha acuito il contrasto in giurisprudenza e che potrebbe dar luogo ad un intervento nomofilattico dell'Adunanza Plenaria.

Alla base del nuovo pronunciamento una serie di indici normativi e cioè:
• l'espressa previsione dell'articolo 21-nonies, comma 1 della legge 241/1990 dell'annullabilità d'ufficio anche nel caso in cui il «provvedimento si sia formato ai sensi dell'art. 20», che presuppone evidentemente che la violazione di legge non incide sul perfezionamento della fattispecie, bensì rileva (secondo i canoni generali) in termini di illegittimità dell'atto;
• l'articolo 2, comma 8-bis, della legge n. 241 del 1990 (introdotto dal Dl n. 76 del 2020, convertito dalla legge n. 120 del 2020), nella parte in cui afferma che «Le determinazioni relative ai provvedimenti, alle autorizzazioni, ai pareri, ai nulla osta e agli atti di assenso comunque denominati, adottate dopo la scadenza dei termini di cui agli articoli 14-bis, comma 2, lettera c), 17-bis, commi 1 e 3, 20, comma 1, […] sono inefficaci, fermo restando quanto previsto dall'articolo 21-nonies, ove ne ricorrano i presupposti e le condizioni», conferma che, decorso il termine, all'Amministrazione residua soltanto il potere di autotutela;
• l'articolo 20, comma 2-bis, prevedendo che «Nei casi in cui il silenzio dell'amministrazione equivale a provvedimento di accoglimento ai sensi del comma 1, fermi restando gli effetti comunque intervenuti del silenzio assenso, l'amministrazione è tenuta, su richiesta del privato, a rilasciare, in via telematica, un'attestazione circa il decorso dei termini del procedimento e pertanto dell'intervenuto accoglimento della domanda ai sensi del presente articolo», stabilisce, al fine di ovviare alle perduranti incertezze circa il regime di formazione del silenzio-assenso, che il privato ha diritto ad un'attestazione che deve dare unicamente conto dell'inutile decorso dei termini del procedimento (in assenza di richieste di integrazione documentale o istruttorie rimaste inevase e di provvedimenti di diniego tempestivamente intervenuti);
• l'abrogazione dell'articolo 21, comma 2, della legge n. 241 del 1990 che assoggettava a sanzione coloro che avessero dato corso all'attività secondo il modulo del silenzio-assenso, «in mancanza dei requisiti richiesti o, comunque, in contrasto con la normativa vigente».

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