Appalti

Codice appalti, partenza in salita sulla digitalizzazione: 5 provvedimenti attuativi da varare entro maggio

Il codice «auto-esecutivo» riduce al mimino la quota di decreti necessari alla piena operatività rispetto ai 67 previsti dal Dlgs 50/2016. All'Anac nuovo tentativo sulla «reputazione dell'impresa»

di Mauro Salerno

Digitalizzazione e rating di impresa. Si muove solo intorno a questi due obiettivi lo sforzo di attuazione del nuovo codice degli appalti. Rispetto all'edizione del 2016, quando si contavano ben 67 provvedimenti a carico di ministeri e Autorità (in particolare Mit e Anac caricata dell'onere della «soft law» da portare avanti tramite linee guida) è un grande passo avanti. Non è un caso che una delle grandi novità annunciate dalla riforma degli appalti era l'auto-esecutività del decreto, cioè l'obiettivo di rendere la norma immediatamente operativa senza delegare l'entrata in vigore di quote importanti dell'impianto a provvedimenti successivi. Una lezione imparata dall'esperienza del vecchio codice, rimasto azzoppato anche dall'incapacità (o dalla mancata volontà) di portare a termine molti dei pilastri che avrebbero dovuto sostenere quella riforma (qualificazione delle stazioni appaltanti, commissari di gara esterni alle amministrazioni e lo stesso rating di impresa solo per i principali esempi).

Una storia che non dovrebbe ripetersi con la riforma che ha cominciato il cammino pochi giorni fa con la pubblicazione in Gazzetta del Dlgs 36/2023. Almeno sulla carta le promesse sull'«auto-esecutività» della riforma sono state pressoché mantenute. I 38 allegati al decreto contengono la quasi totalità delle norme necessarie a mettere a regime l'impianto. Restano fuori solo pochi altri provvedimenti: in tutto sono una decina, una frazione di quelli previsti nel 2016, e in gran parte concentrati sulla corsa al digitale.

Cinque di questi provvedimenti riguardano la definizione delle regole per permettere lo scambio di informazioni tra sistemi informatici necessario a far decollare la Banca dati dei contratti pubblici dell'Anac come punto di snodo unico del sistema degli appalti, a partire dal controllo sul possesso dei requisiti dei concorrenti alle gare che è uno dei momenti più critici e defatiganti della procedura di selezione del vincitore degli appalti. Quattro di questi provvedimenti gravano sulle spalle dell'Autorità Anticorruzione. Che è chiamata a fare in fretta, visto che il termine per la loro emanazione è fissato al prossimo 31 maggio (60 giorni dall'entrata in vigore del codice). In particolare, un provvedimento Anac-Mit, dovrà definire le informazioni da inserire nel «fascicolo virtuale dell'operatore economico», cioè i dati relativi alle imprese che partecipano alle gare per consentire la verifica dei requisiti delle imprese. Insieme all'Agid e alla Presidenza del Consiglio di ministri l'Anac dovrà poi stabilire i requisiti tecnici delle «piattaforme di approvvigionamento digitale» delle varie informazioni sulle imprese che partecipano alle gare. Un altro provvedimento dovrà fare da guida alle stazioni appaltanti alle prese con la programmazione degli appalti e la trasmissione delle informazioni sullo sviluppo e l'esito dei contratti.

Infine, un provvedimento (di cui però non è indicato il termine) servirà a stabilire il tempo massimo in cui i titolari delle banche dati diverse dall'Anac dovranno garantire l'integrazione tra i vari sistemi. Questo è un punto cruciale, visto che proprio l'incapacità di far cadere gli steccati tra le varie banche dati istituzionali ha determinato il fallimento dei precedenti tentativi di creare un punto di riferimento unico digitale per le gare d'appalto (ricordate l'Avcpass?).

Anche questa volta non è detto che il tentativo sia destinato al successo. Resta il fatto che per espressa previsione del codice l' obbligo di gestione digitale dell'intero ciclo di vita degli appalti scatta il primo gennaio 2024 e per allora bisognerà farsi trovare pronti, o sarà un altro flop.

Ci sarà più tempo per l'altro grande tema lasciato all'attuazione successiva della riforma. Per mettere in piedi il sistema di valutazione della reputazione di impresa, l'Anac avrà tempo fino al primo ottobre 2024 (18 mesi dall'entrata in vigore del codice) e sfruttare un eventuale periodo di sperimentazione. Il compito però non è facile. All'Anac si chiede infatti di mettere in piedi un sistema di rating (o comunque di reputazione) dell'impresa fondato su indici «qualitativi e quantitativi, oggettivi e misurabili, nonché sulla base di accertamenti definitivi che esprimono l'affidabilità dell'impresa in fase esecutiva, il rispetto della legalità e degli obiettivi di sostenibilità e responsabilità sociale». A occhio non sembra una passeggiata. Non è un caso che un analogo tentativo sia già naufragato per l'impossibilità di garantire parità di accesso alle gare a imprese con un storia magari centenaria rispetto a quelle che oggi chiameremmo start-up, con una reputazione ancora tutta da costruire.

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