Gare, la determina di aggiudicazione della Pa non è ancora l'aggiudicazione
Palazzo Spada: atto endoprocedimentale che non produce effetti e non può essere impugnato. Ma emergono i limiti e le criticità dell'iter di aggiudicazione (incomprensibilmente lungo e barocco)
La determinazione dell'ente appaltante con cui viene approvata la proposta di aggiudicazione non costituisce provvedimento di aggiudicazione in senso proprio. Di conseguenza tale determinazione ha natura di atto endoprocedimentale, come tale inidoneo a produrre immediati effetti lesivi nella sfera giuridica dei concorrenti e quindi non suscettibile di impugnazione autonoma. Questo è il principio affermato dal Consiglio di Stato, Sez. IV, 7 ottobre 2022, n.8612, con una pronuncia che presenta profili di criticità e che in ogni caso impone qualche necessaria riflessione sulla funzionalità ed efficacia del procedimento che le norme vigenti delineano a valle della scelta in sede di gara dell'offerta aggiudicataria.
Il caso
Un ente locale aveva indetto una procedura aperta per l'affidamento del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti. All'esito della gara un concorrente che non era risultato aggiudicatario aveva impugnato davanti al giudice amministrativo la Determinazione con cui l'ente appaltante aveva proceduto all'approvazione dei verbali di gara e della proposta di aggiudicazione. Il Tar Abruzzo respingeva il ricorso, dichiarandolo inammissibile. In questo senso il giudice amministrativo accoglieva l'eccezione pregiudiziale sollevata dall'ente appaltante fondata sulla carenza di interesse in capo al ricorrente, che avrebbe impugnato un atto endoprocedimentale privo di autonoma definitività e quindi di immediata efficacia lesiva. La sentenza di primo grado veniva fatta oggetto di appello al Consiglio di Stato. A fondamento dell'appello il ricorrente evidenziava che in realtà il Tar avrebbe erroneamente qualificato la Determinazione in questione come atto endoprocedimentale in quanto – al di là di alcune ambiguità terminologiche – il contenuto dello stesso palesava che si trattava di un vero e proprio provvedimento di aggiudicazione dell'appalto, come tale immediatamente lesivo e quindi autonomamente impugnabile.
La posizione del Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha confermato la sentenza di primo grado. A sostegno della sua decisione il giudice d'appello ha richiamato le norme di riferimento che regolano le fasi del procedimento successive all'individuazione in sede di gara del soggetto aggiudicatario, contenute negli articoli 32 e 33 del D.lgs. 50/2016, di cui va fatta una lettura coordinata. Sulla base di tali norme il Consiglio di Stato ha anch'esso ritenuto che la Determinazione impugnata non potesse configurarsi come un provvedimento di aggiudicazione in senso proprio. Essa ha infatti ad oggetto l'approvazione dei verbali di gara e della proposta di aggiudicazione, ma tale approvazione non equivale ad aggiudicazione. La Determinazione fa riferimento alla previsione contenuta all'articolo 33, comma 1 del D.lgs. 50 che parla esplicitamente e unicamente di approvazione della proposta di aggiudicazione posta in essere dagli organi competenti secondo gli ordinamenti dei singoli enti appaltanti. Inoltre, sempre la Determina reca un'esplicita previsione secondo cui la stessa sarà seguita da ulteriori fasi del procedimento, che porteranno all'aggiudicazione definitiva a seguito del completamento con esito favorevole delle verifiche previste dalla normativa vigente. L'insieme di questi elementi ha dunque portato il Consiglio di Stato a concludere che la determinazione in oggetto non potesse essere equiparata a un provvedimento di aggiudicazione.
Né questa conclusione può essere messa in dubbio in virtù di alcune circostanze legate ad alcuni contenuti specifici dell'atto. Così non rileva che la determinazione faccia riferimento alla possibilità di impugnare la stessa dinanzi al giudice amministrativo, trattandosi di una mera formula di stile che nel caso specifico risulta errata e che certamente non è in grado di incidere sulla corretta qualificazione giuridica dell'atto. Allo stesso modo, non è determinante la circostanza che nell'atto in esame si faccia riferimento alla comunicazione di aggiudicazione resa ai sensi dell'articolo 76, comma 5 del D.lgs. 50, adempimento tipico del provvedimento di aggiudicazione definitiva. Lo stesso atto infatti parla esplicitamente di approvazione della proposta di aggiudicazione, cosicché si può solo rilevare che le formulazioni utilizzate non sono chiare e anche apparentemente contraddittorie tra loro. In ogni caso, secondo il Consiglio di Stato costituisce elemento dirimente il riferimento testuale contenuto sempre nella determinazione secondo cui «a norma dell'articolo 32, comma 7 del D.lgs. 50/2016 l'aggiudicazione definitiva avverrà a seguito del completamento con esito favorevole delle verifiche previste dalla vigente normativa in materia».
Il punto critico
La soluzione accolta si basa su una ricostruzione del dato normativo tutta ancorata all'aspetto formale, che tuttavia rischia di mettere completamente in secondo piano l'elemento sostanziale e la ratio complessiva del procedimento. In questo modo tale ricostruzione fa emergere almeno un punto critico non secondario. Per comprendere compiutamente questo profilo di criticità occorre analizzare e cercare di ricomporre in un quadro organico le singole disposizioni contenute nel D.lgs. 50 che disciplinano il procedimento successivo alla selezione in sede di gara dell'offerta aggiudicataria. Tali disposizioni sono così riassumibili:
-l'ente appaltante, previa verifica della proposta di aggiudicazione (ai sensi dell'articolo 33, comma 1), provvede all'aggiudicazione (articolo 32, comma 5);
-la proposta di aggiudicazione è soggetta all'approvazione dell'organo competente secondo l'ordinamento della singola stazione appaltante (articolo 33, comma 1);
-l'aggiudicazione non equivale ad accettazione dell'offerta (articolo 32, comma 6);
-l'aggiudicazione diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti in capo all'aggiudicatario (articolo 32, comma 7).
Una lettura sistematica e funzionale di questo complesso di norme porta a ritenere che la verifica della proposta di aggiudicazione (articolo 32, comma 5) coincide con l'approvazione di tale proposta (articolo 33, comma 1). Ciò significa che se l'ente appaltante, completando positivamente la verifica della proposta di aggiudicazione la approva, nella sostanza procede all'aggiudicazione. In definitiva, approvazione della proposta di aggiudicazione e aggiudicazione in senso proprio vengono a coincidere. Detto altrimenti, il provvedimento di approvazione della proposta di aggiudicazione deve ritenersi equivalente a un provvedimento di aggiudicazione. Ragionando nei termini diversi accolti dal Consiglio di Stato, si dovrebbe prefigurare una fase che si colloca tra l'approvazione della proposta di aggiudicazione e il provvedimento di aggiudicazione in senso proprio. Ma non si comprende quale sia la norma di riferimento di questa ulteriore fase e soprattutto in cosa consista, quali adempimenti comporti e quale ne sia la finalità.
Sotto questo profilo il passaggio della pronuncia del Consiglio di Stato che valorizza l'affermazione contenuta nella determina oggetto di impugnazione secondo cui «a norma dell'articolo 32, comma 7 del D.lgs. 50/2016 l'aggiudicazione definitiva avverrà a seguito del completamento con esito favorevole delle verifiche previste dalla vigente normativa in materia» appare fuorviante. Come visto, l'articolo 32, comma 7 fa riferimento alla verifica del possesso dei requisiti in capo all'aggiudicatario, che riguarda però l'efficacia dell'aggiudicazione. Ciò significa che l'aggiudicazione necessariamente si perfeziona prima di tale verifica e il positivo esito della stessa fa diventare efficace l'aggiudicazione già precedentemente intervenuta. Non è quindi corretto affermare che l'aggiudicazione avverrà a seguito della suddetta verifica, come indicato nella determinazione e richiamato dal Consiglio di Stato a sostegno della sua tesi. Né convince il passaggio della sentenza in cui si afferma che la determinazione rappresenterebbe l'atto di controllo di legittimità e di opportunità da parte dell'organo competente dell'ente appaltante, strumentale all'emanazione del provvedimento di aggiudicazione. Non si comprende infatti quale altre attività dovrebbero essere svolte dall'ente appaltante dopo questo presunto atto di controllo che possano essere considerate funzionali all'emanazione del provvedimento di aggiudicazione.
Un procedimento barocco
Al di là della rilevata criticità della soluzione accolta dal Consiglio di Stato appare indubbio che lo stesso fatto che si ponga un dubbio interpretativo e che le opzioni possano essere diverse evidenzia un problema, tanto più significativo in quanto si pone in una fase molto sensibile del procedimento di scelta del contraente. Questo problema nasce in realtà da un quadro normativo che delinea un percorso procedimentale successivo all'individuazione in sede di gara della migliore offerta che appare a dir poco barocco. Tale percorso si articola in proposta di aggiudicazione, approvazione della proposta, provvedimento di aggiudicazione in senso proprio (almeno secondo la ricostruzione del Consiglio di Stato) che tuttavia non è ancora efficace, verifica del possesso dei requisiti in capo all'aggiudicatario, efficacia dell'aggiudicazione. Solo a valle di tutti questi passaggi l'ente appaltante può procedere alla stipula del contratto. Sembra evidente l'estrema farraginosità di questo iter procedurale, e non stupisce che esso susciti dubbi e incertezze e sia spesso fonte di contenziosi. E che si ponga in palese contrasto con quella esigenza di semplificazione ripetutamente invocata. C'è da chiedersi, anche in vista dell'imminente riscrittura del Codice dei contratti pubblici, se non sia il caso di tornare alla tradizionale (e poi abbandonata) distinzione tra aggiudicazione provvisoria e definitiva, che appariva molto più lineare e ugualmente in grado di soddisfare le esigenze di tutela dell'ente appaltante.