Appalti

Sospensione lavori, la causa di forza maggiore non esclude a priori la responsabilità della stazione appaltante

Il Tribunale dell'Aquila sulla mancata apposizione del visto da parte della Corte dei Conti: la possibilità di apporre riserve in questi casi va valutata volta per volta dal giudice

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di Fabio Di Salvo

Il Tribunale dell'Aquila, sezione civile, è stato chiamato a pronunciarsi su una controversia riguardante una sospensione dei lavori causata dal diniego della Corte dei Conti all'apposizione del visto di legittimità (ai sensi dell'art. 3, lett. g), Legge 20/94).
Con la sentenza (n. 177 del 16 aprile 2020), il giudice ha chiarito due aspetti cardine:

a) il concetto di "causa di forza maggiore" non esclude la responsabilità della stazione appaltante nell'ipotesi in cui sussista concorso di causa dell'ente committente nella verificazione dell'evento;
b) la valutazione sulla sussistenza o meno della "causa di forza maggiore", tale da escludere la responsabilità dell'ente appaltante, deve compiersi caso per caso da parte del giudice, secondo le circostanze e la documentazione prodotte in giudizio.

La decisione del Tribunale può essere utile a tutti gli operatori del settore, e in particolar modo alle imprese appaltatrici, le quali potrebbero trovarsi a valutare quando e come la causa di forza maggiore – invocata dalla stazione appaltante – escluda la responsabilità del committente e non consenta di proporre riserva.

È noto, infatti, che i casi di sospensione nei lavori pubblici sono essenzialmente riconducibili, seppur con diverse declinazioni, a due fattispecie:

1) circostanze speciali che impediscano in via temporanea che i lavori procedano utilmente a regola d'arte, e che non siano prevedibili al momento della stipulazione del contratto (art. 107, comma 1, D.lgs. 50/2016);

2) ragioni di necessità o di pubblico interesse (art. 107, comma 2, D.lgs. 50/2016).

Tali disposizioni normative, peraltro, non hanno subito particolari modifiche nel corso del tempo (cfr., a tal proposito: art. 30 Dpr 1063/1962; art. 133 Dpr 554/99; art. 24 Dm 145/2000; art. 158 Dpr 207/2010).

Ebbene, tale tematica è stata diverse volte affrontata sia dai giudici ordinari che dai collegi arbitrali, anche con riferimento ad una particolare forma di circostanza speciale: il "factum principis", consistente in ordini o divieti di un'autorità amministrativa estranea al rapporto contrattuale, dai quali derivi l'impossibilità di eseguire la prestazione a prescindere dal comportamento dell'obbligato e senza sua colpa riguardo alle cause che hanno determinato i medesimi (Cass. Civ., Sez. I, n. 7543/2002).

In questi casi, i giudici di legittimità e di merito hanno pressoché costantemente affermato il principio richiamato dal Tribunale dell'Aquila: il "factum principis" non è di per sé causa non imputabile alle parti di impossibilità di eseguire l'opera e, pertanto, costituente motivo di sospensione legittima, poiché anche esso va apprezzato in base al consueto canone dello "sforzo diligente", vale a dire secondo i canoni civili della correttezza e buona fede nell'adempimento del contratto (vedi, in tal senso, Corte d'Appello Firenze, Sezione II, 19 settembre 2012, sentenza n. 1174; Lodo Arbitrale Roma, 10 aprile 2008, n. 49; Cassazione civile, sez. I, 12/05/2015, n. 9636).

E dunque, nell'ipotesi in cui l'obbligo di cooperazione e collaborazione con l'appaltatore, che grava sulla stazione appaltante, sia venuto meno a causa di una condotta a quest'ultima imputabile, a nulla vale invocare la causa di forza maggiore (o il factum principis) per escludere la legittimità di una riserva eventualmente proposta dall'impresa.

Nel caso sottoposto all'attenzione del Tribunale dell'Aquila, in particolare, il diniego all'apposizione del visto derivava dai rilievi sulla legittimità della procedura di affidamento relativa alla progettazione ed ai lavori di ricostruzione appaltati, rilievi che non erano stati – in prima battuta – superati dalle argomentazioni a difesa fornite dall'ente. Di qui l'illegittimità della sospensione dei lavori, disposta a seguito del diniego medesimo.

Nella stessa sentenza, poi, il Tribunale ha colto l'occasione per ribadire la distinzione fra sospensione legittima (che tale permanga fino al momento della formale ripresa dei lavori) e sospensione illegittima (che tale risulti o al momento della redazione del relativo verbale o successivamente, per inutile ed infruttuoso decorso del tempo).

Sul punto, infatti, il giudice – richiamando condivisibile giurisprudenza – ha ribadito che la possibilità, per l'appaltatore, di chiedere lo scioglimento del contratto senza indennità (con la conseguenza di poter eventualmente, in caso di diniego dell'amministrazione, richiedere il risarcimento del danno) si riferisca solo all'ipotesi di sospensione disposta per ragioni di pubblico interesse o necessità (art. 107, comma 2, D.lgs. 50/2016) e limitatamente, inoltre, al caso in cui il protrarsi della sospensione sia legittimo, in quanto correlato al perdurare di quelle ragioni; tale facoltà, invece, non riguarda il caso di protrazione illegittima della sospensione, in quanto dovuta a fatto imputabile all'amministrazione committente o, a maggior ragione, il caso in cui una sospensione si configuri sin dall'inizio come illegittima (Cass. civ., Sez. I, 16.06.2010, n. 14574; Cass. civ., Sez. I, 21.06.2007, n. 14510).

I principi sopra richiamati appaiono ormai consolidati nella giurisprudenza e possono dunque contribuire a rendere più decifrabili le diverse ipotesi di sospensione dei lavori, anche al fine di valutare l'apposizione o meno delle riserve da parte dell'appaltatore.

La sentenza del Tribunale

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