Personale

Ministeri, nelle buste 2022 fino a 10.500 euro in più

In arrivo una doppia spinta dal rinnovo di contratti e indennità: aumenti a regime da 2.344 a 3.931 euro lordi all’anno e arretrati una tantum da 3.942 a 6.532 euro

di Gianni Trovati

Dopo anni di assenza l’inflazione torna a mordere i redditi degli italiani. E promette di mangiarsi larga parte della riforma Irpef appena introdotta con l’ultima legge di bilancio. Ma per qualcuno gli argini contro il caro-vita saranno decisamente più consistenti di quelli approntati da nuove aliquote e scaglioni.

Quel qualcuno sono i 140mila dipendenti dei ministeri, che per una fortunata congiunzione temporale vedranno gonfiarsi il reddito annuale di una somma che nella maggioranza dei casi oscilla dai 6mila ai 10mila euro abbondanti a seconda dell’inquadramento. Prima di avventarsi contro i “privilegi” o di lanciare l’allarme sulla spirale prezzi-salari è bene capire di che cosa stiamo parlando. Per chi è impiegato nei ministeri stanno arrivando a maturazione due interventi attesi da anni: il rinnovo del contratto e della «perequazione» dell’indennità ministeriale. In entrambi i casi, si tratta di provvedimenti che stanno percorrendo le ultime tappe dell’iter burocratico dopo aver accumulato ritardi pluriennali: il contratto riguarda il triennio 2019/2021, e il decreto di Palazzo Chigi con i nuovi valori delle indennità (anticipato su NT+ Enti locali & edilizia dell’11 febbraio) muove le risorse stanziate dalla legge di bilancio 2020. Ma proprio questo aspetto alimenta la mole di arretrati che pioveranno in una delle prossime buste paga: probabilmente a marzo, salvo intoppi dell’ultima ora, insieme al doppio aumento a regime.

Il riassunto degli effetti è illustrato dalle cifre di questa tabella, che per le indennità si riferisce al gruppone di ministeri con gli incrementi maggiori: si tratta di Salute, Esteri, Istruzione, Università, Lavoro e Politiche agricole. Le cifre scendono di circa il 20% per Sviluppo economico, Transizione ecologica e Viminale, si dimezzano per Difesa, Cultura e Turismo e arrivano al minimo a Mef, Giustizia e Infrastrutture. Le differenze si spiegano con l’obiettivo della «perequazione», che per armonizzare le differenze retributive esistenti fra i vari ministeri offrono di meno a chi già aveva di più.

Ma è la contemporaneità con il rinnovo contrattuale (quelli di sanità, scuola ed enti territoriali sono ancora in fase di negoziato) a moltiplicare l’impatto sui cedolini.

Com’è ovvio, la parte più importante è quella strutturale, che produce gli aumenti mensili a regime. Gli arretrati sono invece una tantum, ma con cifre tali da non passare certo inosservati.

La girandola dei numeri cambia a seconda degli inquadramenti. Partendo dallo scalino più basso della gerarchia, quello occupato dalle mansioni più semplici (fattorini, uscieri e così via) per le quali è sufficiente la scuola dell’obbligo, l’incrocio di contratto e Dpcm produce aumenti a partire da 180 euro lordi al mese, portati per 63 euro dal contratto e per il resto dall’indennità. Queste cifre arrivano su stipendi che nella parte tabellare valgono tra i 1.328 (fascia retributiva F1) e i 1.425 (F3) euro lordi al mese. L’aumento combinato, per dare un’idea delle dimensioni, vale quindi il 13,6% del tabellare della fascia più bassa. E si accompagna a poco meno di 4mila euro di arretrati, che a loro volta pesano quindi più del 21% dello stipendio base annuale.

Salendo per i rami dell’organigramma i numeri cambiano in proporzione. Fino ad arrivare agli aumenti da 302 euro al mese (3.931 all’anno per tredici mensilità) con 6.532 euro di arretrati nella fascia retributiva più alta dell’area terza, quella che nei nuovi ordinamenti si colloca appena sotto alle «elevate professionalità» in via di formazione. Qui il tabellare attuale è poco sopra i 2.500 euro al mese: anche in questo caso, dunque, l’aumento vale il 12% dello stipendio base, e l’arretrato si attesta al 20% del tabellare annuale.

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