Amministratori

La Cassazione «punisce» il consigliere comunale che si allontana dopo aver firmato il foglio di presenza

Cioè senza attendere la verifica del numero legale o l'apertura della seduta

di Pietro Verna

La sottoscrizione del foglio di presenza al consiglio comunale, non seguita dalla effettiva presenza, integra l'ipotesi dei reati di truffa in danno di un ente pubblico e di falso in atto pubblico, secondo gli articoli 640 e 479 del codice penale. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza n. 32768/2021 che ha confermato la pronuncia con la quale Corte di appello di Messina, in riforma della decisione del giudice di primo grado, aveva condannato per tali reati tre membri del consiglio comunale, per aver percepito fraudolentemente il gettone di presenza previsto dall'articolo 19, comma 12-bis, della legge della Regione Siciliana 23 dicembre 2000, n. 30 (La corresponsione dei gettoni di presenza è comunque subordinata all'effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni; il regolamento dell'ente locale stabilisce termini e modalità). Norma che riproduce integralmente l' articolo 82, comma 11, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali).

I ricorrenti avevano impugnato la pronuncia della Corte d'appello sostenendo che: (i) « l'attività politica può svolgersi anche con forme non convenzionali, e che tra queste dovrebbe considerarsi anche […] recarsi presso la sede del Comune, sia pure senza partecipare ai lavori delle. Commissioni»; (ii) la condotta contestata avrebbe potuto integrare tutt'al più l'ipotesi del reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato di cui all' articolo 316- ter del codice penale, introdotto dall'articolo 4 della legge 29 settembre 2000, n. 300 («…chiunque mediante l'utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l'omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri, contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni […] Quando la somma indebitamente percepita è pari o inferiore a euro 3.999,96 si applica soltanto la sanzione amministrativa del pagamento di una somma di denaro da euro 5.164 a euro 25.822.»); (iii) il danno arrecato al Comune di Messina sarebbe stato di particolare tenuità, ossia di importo pari al valore dei gettoni di presenza percepiti, ragion per cui sarebbero esistite le condizioni per il riconoscimento dell'attenuante ex articolo 62, comma 1, n. 4, del codice penale e per concedere il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale.

Argomentazioni che la Corte di cassazione ha ritenuto prive di pregio («la corresponsione del gettone di presenza è subordinata non già ad una qualsiasi – ed indeterminata - attività politica, convenzionale o meno che sia, bensì a quella specifica attività costituita dalla "effettiva partecipazione del consigliere a consigli e commissioni"»), in considerazione del fatto che gli imputati si erano allontanati dall'aula poco meno di tre minuti dopo aver firmato il foglio di presenza, così da indurre in errore il pubblico ufficiale tenuto a verificare l'effettiva partecipazione dei consiglieri alle sedute consiliari.

Da qui la sentenza con la quale il Supremo Collegio ha escluso la configurabilità del reato di indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato, atteso che tale reato, a differenza del reato di truffa, richiede la mancanza dell'elemento dell'induzione in errore attraverso la messa in atto di artifici e raggiri (cfr. Cassazione, Sezioni Unite Penali, sentenza 16 dicembre 2010, n. 7537 secondo cui l'articolo 316-ter del codice penale punisce «condotte decettive non incluse nella fattispecie di truffa, nelle quali l'erogazione non discende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell'ente pubblico erogatore, che non viene indotto in errore»). La Cassazione ha anche negato l'applicazione dei benefici richiesti dai ricorrenti. Secondo i giudici di Piazza Cavour:
• il danno patrimoniale patito dalla Città dello Stretto «non poteva essere circoscritto al solo gettone di presenza indebitamente erogato, dovendosi considerare tra gli ulteriori effetti pregiudizievoli delle truffe quanto meno le disfunzioni conseguenti alle sedute rinviate per mancanza di numero legale»;
• sussistevano gli elementi per respingere il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale stante l'esigenza che «la collettività conosca le condotte degli eletti», tenuto anche conto che la Corte di Appello di Messina aveva qualificato tali condotte una prassi ispirata da «deprecabili ragioni di arricchimento personale».

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